La Stampa 2.12.16
È ora di punire gli errori del premier
di Riccardo Barenghi
Il
No ha un valore doppio. Chi vota contro la riforma costituzionale
proposta dal governo Renzi lo fa per due ragioni. La prima è perché non
ne condivide il merito. La seconda è strettamente politica, ossia perché
non ama (politicamente) Renzi e non approva il suo modo di governare e
di comportarsi. A sinistra come a destra.
Che la riforma sia pasticciata
è ormai cosa nota, lo hanno spiegato decine di importanti
costituzionalisti e lo hanno anche ammesso diverse volte gli stessi
fautori del Sì: «Si poteva fare meglio...». E non si tratta solo di
pasticci, che prima o poi (più poi che prima) potrebbero essere
corretti, a cominciare dal nuovo Senato che non si capisce ancora come
verrà nominato (o eletto?). Quel che non funziona è innanzitutto la
(parziale) abolizione del bicameralismo perfetto. Non è infatti vero che
l’attività legislativa nel nostro Paese sia stata rallentata dalla
famigerata navetta, abbiamo prodotto migliaia e migliaia di leggi, molte
delle quali con grande celerità. Il problema semmai è che ne abbiamo
approvate troppe e a volte sbagliate. Inoltre, tanto per dire una cosa
impopolare - ormai sembra che il bicameralismo sia l’origine di tutti i
mali - diciamola così: due occhi vedono meglio di uno. In un’epoca in
cui l’imperativo è correre correre correre, a prescindere da dove si va,
la possibilità che una legge venga approfondita da due Camere
garantisce il cittadino e aiuta ad evitare errori clamorosi.
Ovviamente,
non possiamo dimenticarci quel che sovrintende a tutto questo: lo
spostamento del potere verso il governo a scapito del Parlamento. Verso
il governo e verso il suo capo. E anche se non c’è alcun articolo della
nuova Costituzione che prevede esplicitamente questo sbilanciamento, è
evidente che con un premio di maggioranza che avvantaggia chi arriva
primo e con una sola Camera che dà la fiducia, il futuro premier
(chiunque esso sarà) avrà in mano il destino del Paese. Se al posto di
Renzi oggi ci fosse Berlusconi, tutto il centrosinistra sarebbe in
piazza a protestare.
Lasciamo perdere i risparmi che sono risibili, e
passiamo al rapporto Stato-regioni. Anche qui, non è affatto detto che
sia meglio che lo Stato decida sulle materie più importanti, chiamate
strategiche, a prescindere dal parere degli Enti locali. Un solo
esempio: se il governo vorrà costruire un impianto a rischio in Toscana,
i toscani non potranno più opporsi. Anche se il pericolo riguarderà
loro per primi (come oggi riguarda i lombardi di Pavia).
Infine Renzi.
Votare No è anche un voto contro di lui, perché lui ha voluto che così
fosse, personalizzando all’eccesso il referendum. Il premier può
suscitare simpatia o antipatia, ma sicuramente ha fatto di tutto per
allargare la platea di quelli che non lo sopportano. Soprattutto perché
la sua spavalderia, il suo proporsi come l’uomo solo al comando, colui
che «faccio tutto io», a molti italiani non va giù. Politicamente,
antropologicamente e storicamente.
Obiezione che va per la maggiore: se
Renzi perde e si dimette (se si dimette), l’unica alternativa è Grillo. E
allora ci beccheremo Grillo, sapendo però che il vero colpevole della
eventuale vittoria dei Cinquestelle sarà stato il centrosinistra
italiano. Da ben prima che cominciasse il regno di Renzi.