venerdì 2 dicembre 2016

Il Sole 2.12.16
Perché No Paolo Cirino Pomicino ex ministro Dc
«Con la norma transitoria i partiti sceglieranno i senatori»
intervista di Manuela Perrone

ROMA L’effetto della riforma costituzionale? «La trasformazione della democrazia politica per come l’abbiamo vissuta per settant’anni, con il trasferimento nelle istituzioni del modello di partito personale che ormai caratterizza tutti i partiti, nessuno escluso. Ed è un modello che certamente democratico non è». A parlare è l’ex ministro democristiano Paolo Cirino Pomicino, classe 1939, uno degli esponenti di punta della Prima Repubblica, convintamente schierato per il No.
In caso di vittoria del Sì, quale sarebbe la prima conseguenza sul piano attuativo?
L’applicazione dell’articolo 39, la norma transitoria che indica come devono essere votati i senatori in attesa della nuova legge ordinaria, imponendo ai consigli regionali liste bloccate. Avremo un primo nuovo Senato i cui componenti non sono decisi né dai cittadini né dai consiglieri regionali, ma dai partiti. A testimoniare la ratio di fondo della legge.
Ma poi arriverà la legge…
Io ho l’impressione che la norma transitoria resterà definitiva. L’articolo 57, al secondo comma, dice chiaramente che i consigli regionali e i consigli provinciali di Trento e di Bolzano eleggono i senatori tra i propri componenti. La legge che dovrà arrivare determinerà le modalità di elezione da parte dei consiglieri regionali ma non il titolare del voto, che restano loro.
L’ultimo comma aggiunge però: «In conformità alle scelte espresse dagli elettori».
Elezione significa scegliere, mentre «in conformità alle scelte» di altri significa nominare. Un’espressione che non si capisce, visto che è stato abrogato l’articolo 58 della Costituzione, secondo cui i senatori sono eletti a suffragio universale da parte dei cittadini sopra i 25 anni. L’unico modo per evitare che la legge ordinaria preannunciata sia incostituzionale è che i più votati diventeranno senatori. Il dramma vero è che c’è stata una sciatteria legislativa impressionante. Questo sistema, in una visione d’insieme con l’Italicum e i capilista bloccati, riduce sostanzialmente l’espressione della sovranità popolare.
Con l’addio al bicameralismo paritario serviranno anche nuovi regolamenti parlamentari…
Il Senato conserva competenze legislative importanti. Nel caso in cui avesse un parere diverso dalla Camera, la riforma non prevede però quello che c’è in tutti i Parlamenti democratici: la norma di chiusura, che alla Camera è il voto di fiducia. È un pasticcio che produrrà confusione e contrasti di competenze, nonché l’innesco di meccanismi autoritari. Nella riforma, inoltre, una norma in disuso è stata rilanciata: il governo potrà chiedere che una sua legge, mentre sta in commissione, sia votata dall’Aula senza l’esame dei singoli articoli. La sede redigente oggi è già prevista, solo che la decide il Parlamento. Farla decidere al governo è un’intrusione anche nel regolamento parlamentare. Con l’obbligo di inviare al Senato ogni legge di competenza monocamerale, e i tempi contingentati per suggerire modifiche, non abbiamo superato il bicameralismo paritario: lo abbiamo trasformato in un bicameralismo suggeritore.
Insomma: è tutto da buttare?
L’Italia nel ’75-’76 ebbe un momento di grande crisi: finanziaria, economica, legata al terrorismo. Nessuno voleva governare. La Dc si mise sulle spalle un obbligo che dovrebbe sempre avere il partito di maggioranza relativa: governò da sola chiedendo agli altri di astenersi in uno spirito repubblicano, possibile perché tutti erano vincolati da una Costituzione condivisa. Invece noi, se passa il sì, avremo una Costituzione sulla quale la società è spaccata a metà. La democrazia in tutto l’Occidente ha due forme: parlamentare o presidenziale. Qui si è realizzata un’arlecchinata, con ispirazioni autoritarie che determineranno scontri. Si è tentato di risolvere problemi politici con tecnicalità elettorali o costituzionali.