La Stampa 14.12.16
Il premier subito in trincea
di Stefano Lepri
Proprio
 nel giorno in cui il governo di breve durata si presentava alle Camere,
 è arrivato l’assalto di Vivendi a Mediaset a mostrare che incombono 
questioni serie. Ovvero: questioni economiche oltre la portata di una 
politica che prende tempo dedicandosi ad altro. Che entri capitale 
straniero in Italia può essere un buon segno, se si sa gestirlo come 
tale, senza debolezze.
Ormai in tutti i Paesi avanzati - perfino 
in Germania - si considera normale che metà o più del capitale azionario
 delle grandi aziende sia di proprietà estera. L’Italia però ha una 
Borsa piccola, troppo piccola, dove gli italiani stessi sono restii ad 
impegnarsi. Per varie ragioni, i capitali che si formano in Italia 
spesso vanno oltre confine, per giunta in investimenti finanziari e non 
produttivi.
Se da altri Paesi si sceglie di attraversare le Alpi, è
 pur segno che le speranze non sono tutte perdute; che in Italia si può 
guadagnare, nonostante le profezie di sventura che ogni tanto qualcuno 
formula. Non va bene invece che le nostre aziende attirino perché 
ritenute deboli, prede a buon mercato. La differenza la fa una politica 
che funziona.
Paolo Gentiloni ieri ha dato qualche segnale nuovo. 
Ma quando afferma che vanno date risposte «alla parte più disagiata 
della nostra classe media» già si pone davanti a compiti per i quali 
occorrono energia e progetti precisi. Né sarà facile far di più per 
l’istruzione, tra corpi accademici saldissimi nel tutelare lo status 
quo, sindacati riottosi, docenti immersi nel mondo di ieri.
Le due
 questioni sono legate. In senso stretto, non è esatto parlare di 
impoverimento del ceto medio, fenomeno invece marcato negli Stati Uniti.
 In Italia, leggendo i numeri, ci siamo impoveriti un po’ tutti. Se si 
parla tanto di disuguaglianze è da un lato perché i più bisognosi 
soffrono di più, dall’altro perché i ceti medi avvertono con particolare
 angoscia la mancanza di prospettive per i figli.
Già da tempo 
anche i giovani che un impiego lo hanno - i più capaci o i più fortunati
 - guadagnano meno, a parità di mansioni lavorative o professioni, 
rispetto a quelli che avevano la stessa età 20 o 25 anni prima. 
L’impoverimento è già in corso, tra generazioni, assai più di quanto le 
medie di reddito dicano. Mancano le speranze di ascesa: per questo 
migliorare l’istruzione è cruciale.
Nella finanza, non occorre 
solo salvare il Monte dei Paschi, la più antica banca del mondo portata 
al tracollo da una classe dirigente di provincia che si illudeva di 
giocare da protagonista in Europa. Abbiamo anche altre, tante, banche 
deboli perché se ne sono difesi gli assetti proprietari esistenti o 
l’italianità, quando nell’area di una unica moneta la vera forza sta 
nell’essere transnazionali.
Occorre un piano che comprenda tutto 
questo, che aiuti l’insieme del sistema creditizio anche a ridurre 
personale e sportelli senza traumi. Per far tornare la fiducia, oltre a 
indennizzare i piccoli risparmiatori acquirenti di titoli troppo 
rischiosi per loro, sarebbe bene castigare chi glieli ha venduti e chi 
ha permesso che gli fossero venduti.
Verso l’Europa, occorrono 
idee chiare per gestire un 2017 che sarà di permanente tensione tra 
interessi contrastanti. Quando avremo un Parlamento rinnovato a Berlino,
 nell’autunno, questo governo forse non esisterà più. Gioverebbe 
tuttavia aver impostato nel dialogo con altri governi uno schema di 
priorità per l’Italia, su unione bancaria, politiche economiche comuni e
 così via. Meglio porre termine alle oscillazioni del Renzi ultima fase,
 tra «nessuno comanda all’Italia» e «rispettiamo le regole», mentre le 
bandiere azzurre sparivano e ricomparivano davanti alle telecamere.