La Stampa 14.12.16
Le imprese degli immigrati resistono meglio alla recessione
Sono
 550 mila e nel 2015 hanno prodotto 96 miliardi di valore aggiunto L’80%
 sono ditte individuali, ma le start-up restano ancora poche
di Maria Corbi
Le
 imprese guidate da immigrati hanno una maggior resilienza, quella 
capacità, evocata spesso anche negli Usa di Obama, di sopportare gli 
scossoni delle crisi. Per uscirne più forti. O almeno vivi. Le aziende 
registrate in Italia da stranieri nel 2015 sono infatti aumentate in 
controtendenza con il dato generale: più di 550mila, il 9,1 per cento 
del totale, e producono 96 miliardi di euro di valore aggiunto, il 6,7 
per cento della ricchezza complessiva, come rilevano i dati arrivano del
 «Rapporto Immigrazione e Imprenditoria 2016».
Gli immigrati 
contrastano i tempi duri con la voglia di farcela, lanciandosi in nuove 
iniziative, ma anche occupando quelle nicchie lasciate scoperte dagli 
italiani. E ce la fanno grazie alla grinta e alla disperazione di chi è 
venuto in Italia per cercare un luogo migliore dove vivere e garantire 
un futuro per i propri figli. Secondo i ricercatori Idos «nell’attuale 
congiuntura di crisi, l’accentuata vitalità imprenditoriale dei 
lavoratori immigrati ha contribuito in modo rilevante ad attenuare il 
progressivo assottigliamento della base imprenditoriale del Paese».
In
 8 casi su 10 i migranti guidano ditte individuali, il 79,9% contro il 
50,9% delle aziende di chi è nato in Italia. Le imprese a gestione 
immigrata, quindi, rappresentano quasi un settimo di tutte le ditte 
individuali del Paese (13,6%) e meno di un ventesimo delle società di 
capitale (4,1%).
È il commercio a farla da padrone, come è 
evidente anche solo quando si gira per una città. Rappresenta il 
principale ambito di attività (200mila aziende, 36,4 per cento contro il
 24,5 per cento delle imprese a guida autoctona); segue l’edilizia, 
nonostante la crisi abbia messo a dura prova il settore, nessuno 
escluso: 129mila ditte, il 23,4 per cento contro 13,1 per cento.
Notevole
 è anche il comparto manifatturiero (oltre 43mila aziende, 9 per cento),
 caratterizzato come l’edilizia da una forte dimensione artigiana. Sono 
artigiane, infatti, oltre 4 imprese edili immigrate su 5 (83,2 per 
cento) e oltre 2 su 3 di quelle manifatturiere (68,4 per cento). Proprio
 nell’edilizia e nella manifattura si concentrano i tre quarti (76 per 
cento) delle aziende immigrate artigiane (180mila in tutto). Cresce 
soprattutto la partecipazione nei servizi: alla già consolidata presenza
 immigrata tra imbianchini e carpentieri o nel trasporto merci e nella 
confezione di abbigliamento, si affianca una crescente partecipazione 
alle aziende (per lo più individuali) che nella sartoria, nel 
giardinaggio, nelle pulizie, come pure nella panetteria o nella 
ristorazione take away. Le attività di alloggio e ristorazione sono 
41mila, (7,5 per cento) e i servizi alle imprese 29mila (5,3 per cento).
Gruppo
 etnico che cerchi, comparto di attività che trovi. Il commercio piace a
 marocchini, bangladesi e soprattutto senegalesi; l’edilizia ai romeni 
(64,4%) e agli albanesi (74,0 per cento); i cinesi allargano il loro 
raggio: dal commercio (39,9 per cento), alla manifattura (34,9 per 
cento) alle attività di alloggio e ristorazione (12,9 per cento) nel 
caso dei cinesi.
Sono ancora poche, però, le imprese che si 
caratterizzano per vocazione innovativa e alto valore tecnologico. A 
fine 2015, su 5143 start up iscritte nell’apposita sezione del registro 
delle imprese, sono 112 quelle con una compagine societaria a prevalenza
 immigrata e 629 quelle con almeno un componente immigrato.
«Ogni 
volta che una piccola impresa nasce è una piccola fonte che comincia a 
produrre energia, lavoro e reddito. Questo vale anche per gli immigrati 
che diventano imprenditori in Italia», ha commentato oggi Maria 
Fermanelli, vicepresidente Cna. Ugo Melchionda, presidente Centro Studi e
 Ricerche Idos, ha osservato come «dall’inizio del 2008, l’Italia non è 
riuscita a crescere o lo ha fatto in una misura così ridotta da non 
riuscire a recuperare i posti di lavoro persi. Questo problematico 
scenario porta ad apprezzare maggiormente il dinamismo espresso dagli 
imprenditori nati all’estero».
 
