La Stampa 14.12.16
L’Italia finisce sotto attacco nella palude della politica
E il governo cerca un riparo
Dopo il referendum offensiva su banche, televisioni e tlc
di Marco Zatterin
Sui
taccuini di chi segue da dentro le cose del governo due eventi
sottolineati in rosso fanno riaffiorare vecchi timori: i francesi hanno
conquistato il risparmio gestito di Unicredit e dichiarato guerra a
Mediaset. Nei quartieri del premier Gentiloni c’è già chi vede un’Italia
assediata dai cugini d’Oltralpe.
Tutto è successo in appena otto
giorni. Ha vinto il No, è saltato Renzi, è cambiato (di poco) il
governo, è ripartito il girone all’italiana del confronto politico che,
con la sua virulenza, ha ripreso a gonfiare l’incertezza diffusa che da
tempo accompagna i discorsi sulla tenuta reale del Paese. In realtà non
c’è molto di nuovo nell’agenda della scorsa settimana, se non le vicende
della Finanza e l’ampliarsi dell’instabilità percepita in cui si
annidano parecchie insidie potenziali per il sistema tricolore degli
Affari. Come anche il caso Montepaschi illustra in modo esemplare.
Il
sipario s’è levato il 5 dicembre. Chiusa la conta dei voti, con una
mossa a orologeria che a Roma non è ritenuta casuale, Unicredit ha
tributato alla parigina Amundi, corazzata degli investimenti con cui nel
2010 Crédit Agricole e Société Générale hanno dato vita al più
importante gestore di asset europeo (mille miliardi), l’esclusiva per
negoziare l’acquisto di Pioneer, un quinto la sua taglia. L’intesa è
arrivata lunedì e festeggiata dalla Borse, felici per come Jean Pierre
Mustier pensa di curare Unicredit, ma titillati anche dai rumour secondo
cui proprio la Société Générale penserebbe a far sua la banca di piazza
Aulenti. Ipotesi suggestiva e senza conferme. Anzi: Mustier giura che,
una volta finita la manutenzione, l’istituto continuerà a ballare da
solo.
Fonti istituzionali concedono che il governo Renzi ha
tentato di farsi regista di una soluzione italiana per Pioneer, sfidando
le possibili ire europee. Raccontano di un incontro del premier col
ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e con l’ad di Poste,
Francesco Caio, per delineare un piano d’intesa con la Cassa Depositi.
L’obiettivo: mantenere da questa parte delle Alpi il risparmio gestito
nazionale. L’offerta è arrivata ma, proprio il 5 dicembre, il corriere
pubblico si è chiamato fuori, ufficialmente perché il gioco s’era fatta
troppo costoso. Nei palazzi del governo è stata letta altrimenti: «Le
cifre non erano poi così distanti». E’ parsa una partitura orchestrata
per favorire i francesi. Vero o falso?
Certo che a spiegare il
successo di Amundi non basta la dimensione. Rende il mercato italiano
più esposto alla conquista il combinato disposto fra l’assenza di
operatori coraggiosi coerentemente dimensionati e l’insufficienza di
gioco di squadra nazionale. «Più che un assedio potrebbe essere la
logica conseguenza dell’incapacità di buona parte del sistema» confessa
un pezzo grosso della finanza milanese. Troppa politica e poche
aggregazioni, insomma. «E quelli che ora parlano di attacco francese
dove erano negli ultimi dieci anni?», si chiede. «La realtà di base -
precisa una voce governativa - è che da noi ci sono molte realtà
industriali interessanti e i francesi hanno i mezzi, e le strategie, per
venirsele a prendere». Attacco? «Certo le loro acquisizioni sono sempre
rumorose».
Sistema fragile. Con una debolezza storica - fatte le
dovute eccezioni - che, nel settore industriale e finanziario, trova la
sua amplificazione nel caos della politica. Ecco il dossier Montepaschi.
Anche qui le tracce di un lavoro governativo dietro le quinte per
tirare nella partita il Qatar sono numerose, come i contatti fra Palazzo
Chigi e l’emiro al-Thani. C’era l’accordo, un miliardo subito per Siena
e altre opzioni sul tavolo. «S’è parlato anche di Generali», ammette la
fonte. Poi c’è stato il «No» e il principe non s’è fidato. Tutto
sospeso. Per il cambiamento del quadro politico istituzionale post 4
dicembre. Adesso pagherà lo Stato. Cioè i suoi cittadini.
Della
confusione ha approfittato anche Vincent Bolloré. Di nuovo lui, il
magnate bretone stregato dalla «seconda patria». Attraverso la Vivendi
s’è già messo in tasca il 24,9% del capitale Telecom. Lunedì, una
settimana dopo il referendum, ha mosso a sorpresa su Mediaset dopo
l’estate dei litigi per Premium. Vuole il 20% di Cologno, che gli
scatena contro i legali. Potrebbe aver in mente di creare un EuroNetflix
unendo le energie di Telecom. Roba grossa. E francese.
Nei
quartieri governativi tre segnali fanno una notizia. Intorno, è facile
cucire i sospetti più diversi. Guardate Mustier, simpatico ed efficiente
manager francese insediatosi a luglio al 28o piano di Unicredit. «Un
paracadutista della Francia», sussurra una fonte politica. Un figlio
delle Grandes écoles napoleoniche cresciute alla Société Générale,
colosso che ritroviamo fra gli azionisti di Generali, dove il manager è
pure transalpino, Philippe Donnet, uno che ha un curriculum
strutturalmente simile a Mustier, costruito stavolta in Axa, la
compagnia d’assicurazione più grande. Mettici che il primo azionista di
Generali è Mediobanca, che Bolloré è il secondo a Piazzetta Cuccia e che
Socgen ha il 5 per cento di Trieste, il gioco dei sospetti diventa
facile. I francesi possono trangugiare pezzi del Leone, a partire da
quelli presenti nel loro Paese? E un giorno mettere le mani sui
grattacieli di Porta Garibaldi?
Risiko, indiscrezioni. Fantasie
fra le più tipiche del pianeta Finanza, eppure più fonti giurano che
nell’agenda della squadra di Gentiloni il dubbio che i francesi siano
alle porte preoccupa. Per la fragilità strutturale e le disattenzioni di
sistema. Nel 2016, riassume Kpmg, le acquisizioni dell’Esagono sono
state 44. In dieci anni sono passate di mano 200 aziende italiane dal
valore di 48 miliardi, gruppo che racchiude Bnl (a Bnp Paribas), Bulgari
(Lvmh), Edison (Edf) e Parmalat (Lactalis). Gioielli italiani, e altri
sarebbero nel mirino. «STMicroelectronics, ad esempio», lascia cadere la
fonte. Possibile? «Loro fanno sistema», spiega una fonte istituzionale,
certa che - vinca il centrodestra di Fillon o il socialista Valls -, la
situazione non potrà che farsi più aggressiva dopo le presidenziali di
primavera, dunque più tesa per noi. Politica, finanza, grande industria
perseguono i propri interessi e giocano per la Francia. Noi siamo
vittime di una triste «mediocrazia», per usare un termine coniato anni
fa dal vecchio patron delle Generali, Antoine Berhneim. Oggi come
allora, viene da dire.