La Stampa 13,12.16
Boschi e Lotti, ruoli invertiti
Il Giglio Magico cambia verso
Lei va a Palazzo Chigi come sottosegretario, lui diventa ministro
Renzi regista delle mosse dei fedelissimi pensando al gran ritorno
di Andrea Malaguti
Dall’ufficio
più prestigioso d’Italia, vero tempio in penombra del potere di
Palazzo, esce l’imperscrutabile e chiacchierato Luca Lotti, incarnazione
fisica del Giglio Magico, consigliere e amico fraterno dell’ex
presidente del Consiglio, per fare posto a Maria Elena Boschi, ex
ministra delle riforme irrealizzate, da sempre interprete autentica - e
unica - del verbo renziano, diventata ufficialmente alle otto della sera
l’Orso Bianco da impallinare nel luna park delle opposizioni. Bersaglio
facile. E’ lei, nuova sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio, di
fatto numero due del governo e forse qualcosa di più, la stessa giovane
donna che alla fine di maggio aveva assicurato a Lucia Annunziata, in
diretta sulla Rai, che se il referendum fosse andato male non avrebbe
continuato il suo percorso politico. «Il nostro piano B è che verranno
altri e noi andremo via». Incoerente. A essere generosi. Più affezionata
al potere che al senso dello Stato. Ambiziosa al punto da rischiare la
faccia e il futuro pur di restare qualche mese in più sulla cima alla
montagna, secondo i suoi più velenosi compagni di partito. Non
sopportava l’idea di essere scaricata. L’ha detto con chiarezza. Ma
perché Renzi ha deciso di assecondarla e addirittura di promuoverla?
Il
buon senso avrebbe suggerito il contrario. La brutta e irrisolta storia
di Banca Etruria brucia ancora, mentre lo scontro sul sistema bancario e
sul Monte dei Paschi di Siena è più forte che mai. A che cosa serve
esporre il governo a una raffica di prevedibili critiche? La versione
ufficiale dice che in un governo Renzi senza Renzi, cancellare il nome
della Boschi avrebbe voluto dire buttare addosso solo a lei la croce
della sconfitta. Renzi con il Giglio Magico è leale. E nella relazione
con la sua Interprete Autentica la scelta di toglierle la seggiola
sarebbe finita nella colonna dei debiti a suo carico. I bulletti fanno a
pugni con tutti, ma non con la propria banda. La Boschi ora si gioca
tutto e in fondo anche la Madia, decisamente più laterale nella mappa
delle benedizioni di rito fiorentino, è rimasta al suo posto. Eppure
proprio i dipendenti pubblici e i piccoli risparmiatori hanno portato il
No alla vittoria. Loro e gli insegnanti, delusi dalla Buona Scuola.
Solo la Giannini ha pagato. Ma la Giannini non fa parte della
parrocchia.
C’è però anche un’altra versione. Forse più vera di
quella ufficiale. Che uomini molto vicini a Renzi raccontano sotto voce.
L’ex premier ha lasciato la Boschi a Palazzo per tenerla lontana da sè.
Lei, che fino a poche settimane fa aveva l’aspetto riposato di chi è
appena stato una settimana sotto il sole di Vera Cruz, oggi ha lo
sguardo opaco, soffre il calo di popolarità, fatica ad avere un rapporto
empatico con le persone che incontra. Il contrario di quello che serve a
un segretario del Pd deciso a rivoluzionare il partito, a stare il più
lontano possibile da Roma, a girare l’Italia per ristabilire i contatti
col mondo reale, per riscoprire gli umori di quella gente che l’ha
abbandonato («davvero mi odiano tanto?»). Vuole le mani libere. E la
Boschi è troppo ingombrante e intraprendente per ritrovarsela accanto in
questa opera di ricostruzione interna. Meglio puntare su Chiamparino,
Zingaretti, Richetti e Martina.
Renzi, che nei momenti non rari di
amarezza vagheggia di cambiare lavoro e di accettare una delle proposte
milionarie che gli arrivano dall’Italia e dall’estero, ha bisogno di
aria fresca per dimostrare di essere ancora il Predestinato. Tiene una
mano sul governo e la testa sul partito, su primarie che vorrebbe tra la
fine di febbraio e l’inizio di marzo, su un appuntamento elettorale che
sogna a giugno (e che difficilmente avrà prima di ottobre) e a cui
spera di arrivare con il vestito ripulito. Spazio a ogni singola
corrente, viva il pluralismo interno, è cominciata un’alta era. La
Boschi giocherà la sua partita altrove e dovrà comunque essere
riconoscente all’ex premier.
E Lotti? Per lui il discorso è
diverso. Renzi lo ritiene indispensabile. Ma sa che metà del suo
partito, a cominciare dall’ala emiliana che fa capo a Delrio, lo
detesta. Così per lui ha pensato a una soluzione duplice: un ministero
che lo nobilitasse - lo sport - e al tempo stesso non lo impegnasse
completamente, impedendogli di gestire la fase congressuale. Ha bisogno
di lui, si fida di lui, gli serve per controllare sottotraccia la
macchina del partito e per spostare i riflettori da Palazzo Chigi al Pd e
al suo segretario. Un segretario a cui il tempo per il partito
all’improvviso non manca più.