Corriere 12.12.16
Spavalda con i nemici pignola tra i ministri Boschi ora è isolata: c’è chi paga e chi no
La strisciante competizione con Lotti
di Francesco Verderami
Paga
le banche, la legge elettorale e per finire la riforma costituzionale.
Come se avesse deciso tutto lei, come fosse l’unica colpevole, come si
fosse davvero trasformata in quello che sa di essere comunque diventata:
«Io sono il capro espiatorio», dice la Boschi. Una condizione che si
preparava a vivere dai giorni di vigilia al referendum, quando scuoteva
la testa scorrendo i sondaggi negativi: «Se le cose andranno male, sarò
la prima a saltare». Ma la notte del 4 dicembre, visto il responso delle
urne e soprattutto le «dimensioni inaspettate» della sconfitta, non ha
accettato il ruolo che già le avevano assegnato: «La responsabilità non
può essere solo mia».
E certo di responsabilità ne ha avute il
ministro che sedeva alla destra di Renzi, che si era assunta la
maternità della nuova Carta e che per un tratto era rimasta in prima
linea a difendere il solco riformatore con il moschetto della polemica:
dallo scontro con l’Anpi sui «partigiani veri che voteranno Sì al
referendum», fino all’affondo contro il governo tecnico di Monti, che
aveva cambiato il suo giudizio sulla riforma. Raccontano che Napolitano,
sentitosi indirettamente chiamato in causa, avrebbe chiesto un
chiarimento: «Ma vi ricordate cos’è stato il 2011 per l’Italia?». E lei,
senza timore di rispondere ad asprezza con asprezza: «È campagna
elettorale e certe cose funzionano».
Insomma, la Boschi accetta di
finire politicamente alla sbarra, ma non accetta di ritrovarsi da sola
al banco degli imputati. E trova insopportabile l’idea che possano
essere applicate due diverse misure ai due più stretti collaboratori
dell’ex presidente del Consiglio: «Qualcuno paga e qualcun altro no?». È
la prosecuzione della competizione a Palazzo Chigi che ha portato alla
nascita di due sotto-correnti renziane: quella del sottosegretario Lotti
e quella del ministro Boschi, che si rifiuta di far la parte della
dispensata al cospetto dell’indispensabile.
Sui media in questi
giorni è stata sballottata dalla candidatura a capogruppo della Camera
(dove correrebbe il rischio di venire impallinata) a un incarico al
partito (dove correrebbe il rischio di finire confinata). È il vecchio
gioco di Palazzo, sono le voci che servono a delegittimare prima di
emarginare un avversario. Tuttavia il nome della Boschi sembra fisso
sulla casella del dicastero per i Rapporti con il Parlamento e per le
Pari opportunità, per quanto amputato della delega alle Riforme, che
evoca la compartecipazione al fallimento. E proprio questo farà di lei
un bersaglio: «Sono il bersaglio più facile da attaccare ora».
Ma
se è vero che al referendum la giovane dirigente del Pd è stata battuta
nel suo paese, quanti sono quelli che staranno ancora al governo dopo
aver perso nel Paese? Non si dà pace e nemmeno si rassegna. Vive la sua
solitudine senza mostrare i propri sentimenti, avverte su di sé
l’ostilità di un pezzo del partito e del Parlamento, conseguenza anche
di certi suoi metodi sbrigativi quando — all’inizio dei mille giorni di
Renzi — qualcuno si metteva di traverso: «Cosa pensate di fare... Vi
cancelliamo». In Consiglio dei ministri, invece, si presentava austera e
diligente, terrorizzando a ogni riunione i colleghi, per via del
compito assegnatole dal premier e per quella cartellina che apriva come
una maestrina: «Vediamo il rendiconto dei decreti attuativi che sono
stati varati questa settimana». Era la fissazione di Renzi, era una
maledizione per chi restava indietro. Com’è passato il tempo.