La Stampa 13,12.16
Pitigrilli? Ci spiace per suo figlio ma era una spia dell’Ovra
Un
intervento di Anna e Bettina Foa: nostro padre, condannato a 15 anni
per la sua delazione, diceva che più che per soldi lo faceva per
divertimento
di Anna E Bettina Foa
Ottobre
1943: da Radio Bari, un comunicato ripetuto più volte: «Occorre
guardarsi da Dino Segre, meglio noto sotto lo pseudonimo di Pitigrilli,
scrittore pornografico, il quale è un delatore ed ha già denunciato alle
autorità fasciste una cinquantina di persone». Luglio 1946: la Gazzetta
Ufficiale pubblica un primo elenco di 620 nominativi di spie dell’Ovra,
la polizia politica fascista. Tra di essi, quello di Dino Segre.
Dino
Segre era uno scrittore molto noto, amato dal vasto pubblico. Oggi le
sue opere non sarebbero giudicate pornografiche, solo un po’ spinte e
dissacranti. Ma di tutte le sue opere la più pornografica è senz’altro
quella costituita dalle sue lettere all’Ovra, lettere naturalmente
anonime, che negli Anni Trenta denunciano alla polizia politica
l’attività antifascista del gruppo estero di Giustizia e Libertà,
guidata a Parigi da Carlo Rosselli, e del gruppo torinese
dell’organizzazione.
Torinese, di padre ebreo e madre cattolica,
Segre iniziò a collaborare con l’Ovra nel 1930 e nel 1934 si infiltrò
nel gruppo torinese di Giustizia e Libertà, approfittando dei suoi
frequenti viaggi in Francia per trasportare giornali clandestini e per
avere informazioni sul gruppo di Rosselli, subito passate all’Ovra. Tra i
fuorusciti di cui riferiva le mosse, uno studente che sarebbe poi
caduto nella guerra di Spagna, Renzo Giua, nostro zio. In seguito alle
sue informazioni, fra il 1934 e il 1935 tutti o quasi i membri del
gruppo torinese furono arrestati. Tra loro Leone Ginzburg, Sion Segre,
cugino primo di Pitigrilli, Carlo Levi, Massimo Mila e molti altri. Due
di loro, Vittorio Foa e Michele Giua, ebbero una condanna a quindici
anni, e ne scontarono oltre otto. Erano rispettivamente nostro padre e
nostro nonno.
I primi sospetti su Pitigrilli vennero a Giua ancora
prima del processo, tanto che egli denunciò l’attività spionistica di
Pitigrilli al procuratore Isgrò che lo interrogava a Regina Coeli. Di
una generazione più anziano, professore di chimica, nostro nonno aveva
accettato malvolentieri Pitigrilli nel gruppo, considerandolo immorale,
cosa per cui i più giovani lo prendevano in giro. Per il momento, quelli
su Pitigrilli restarono solo dei sospetti, tanto che questi continuò a
mantenere i contatti parigini con Rosselli. Nel 1938, fu licenziato
dall’Ovra, anche se continuò a fare sporadica opera di delazione e a
corteggiare i fascisti, e in particolare Ciano, per ottenere di essere
«arianizzato». Invano. Dopo l’8 settembre 1943, trovò asilo in Svizzera
per sfuggire, come ebreo, ai nazisti. Per la sua attività come
informatore, Pitigrilli guadagnava ben 5000 lire al mese. Ma nostro
padre diceva che Pitigrilli più che per soldi lo faceva per
divertimento.
Il comunicato di Radio Bari era stato suggerito
dagli antifascisti torinesi. Coloro che erano in prigione erano stati
scarcerati da Badoglio a fine agosto 1943 ed è da loro, in particolare
crediamo da Giua, che proveniva l’avvertimento di Radio Bari. Anche il
riferimento al «pornografo» riporta a lui. Nel dopoguerra, la scoperta
dei rapporti di Pitigrilli all’Ovra, firmati «informatore 373» - ora
conservati all’Archivio Centrale dello Stato, Polizia Politica - portò
all’inserimento del suo nome nella lista di informatori pubblicata dalla
Gazzetta Ufficiale. Nei rapporti, coloro che erano stati denunciati da
Pitigrilli ritrovarono incontri, conversazioni, circostanze specifiche
che identificavano senza ombra di dubbio in Pitigrilli colui che li
aveva redatti.
Pitigrilli fece ricorso, appoggiato da Andreotti,
ma in seguito alle dichiarazioni di Foa, Giua, Garosci e Lussu la
commissione per l’esame dei ricorsi decretò in data 13 ottobre 1947 che
la colpevolezza di Pitigrilli era stata dimostrata «irrefutabilmente».
Il tentativo di riabilitazione finì lì. Ormai convertito al
cattolicesimo, Pitigrilli riparò in Argentina, poi a Parigi. A metà
degli Anni Sessanta si ristabilì a Torino, ormai dimenticato. Morì nel
1975.
In questi decenni, numerosi sono stati i tentativi di
riabilitarne la memoria, l’ultimo ora quello di suo figlio, il dottor
Furlan. Tutti, si sono scontrati con la documentazione, che non lascia
spazio a dubbi, soprattutto se confrontata con i ricordi degli
arrestati. Sono ricordi che fanno parte della nostra memoria famigliare,
eventi e circostanze di cui abbiamo sentito parlare molte volte e su
cui possiamo prestare testimonianza a nostra volta. Mi spiace per il
dottor Furlan, suo figlio, ma sia detto da figli a figli: si metta
l’animo in pace, suo padre è proprio stato un informatore dell’Ovra.