martedì 13 dicembre 2016

La Stampa 13,12.16
Pitigrilli? Ci spiace per suo figlio ma era una spia dell’Ovra
Un intervento di Anna e Bettina Foa: nostro padre, condannato a 15 anni per la sua delazione, diceva che più che per soldi lo faceva per divertimento
di Anna E Bettina Foa

Ottobre 1943: da Radio Bari, un comunicato ripetuto più volte: «Occorre guardarsi da Dino Segre, meglio noto sotto lo pseudonimo di Pitigrilli, scrittore pornografico, il quale è un delatore ed ha già denunciato alle autorità fasciste una cinquantina di persone». Luglio 1946: la Gazzetta Ufficiale pubblica un primo elenco di 620 nominativi di spie dell’Ovra, la polizia politica fascista. Tra di essi, quello di Dino Segre.
Dino Segre era uno scrittore molto noto, amato dal vasto pubblico. Oggi le sue opere non sarebbero giudicate pornografiche, solo un po’ spinte e dissacranti. Ma di tutte le sue opere la più pornografica è senz’altro quella costituita dalle sue lettere all’Ovra, lettere naturalmente anonime, che negli Anni Trenta denunciano alla polizia politica l’attività antifascista del gruppo estero di Giustizia e Libertà, guidata a Parigi da Carlo Rosselli, e del gruppo torinese dell’organizzazione.
Torinese, di padre ebreo e madre cattolica, Segre iniziò a collaborare con l’Ovra nel 1930 e nel 1934 si infiltrò nel gruppo torinese di Giustizia e Libertà, approfittando dei suoi frequenti viaggi in Francia per trasportare giornali clandestini e per avere informazioni sul gruppo di Rosselli, subito passate all’Ovra. Tra i fuorusciti di cui riferiva le mosse, uno studente che sarebbe poi caduto nella guerra di Spagna, Renzo Giua, nostro zio. In seguito alle sue informazioni, fra il 1934 e il 1935 tutti o quasi i membri del gruppo torinese furono arrestati. Tra loro Leone Ginzburg, Sion Segre, cugino primo di Pitigrilli, Carlo Levi, Massimo Mila e molti altri. Due di loro, Vittorio Foa e Michele Giua, ebbero una condanna a quindici anni, e ne scontarono oltre otto. Erano rispettivamente nostro padre e nostro nonno.
I primi sospetti su Pitigrilli vennero a Giua ancora prima del processo, tanto che egli denunciò l’attività spionistica di Pitigrilli al procuratore Isgrò che lo interrogava a Regina Coeli. Di una generazione più anziano, professore di chimica, nostro nonno aveva accettato malvolentieri Pitigrilli nel gruppo, considerandolo immorale, cosa per cui i più giovani lo prendevano in giro. Per il momento, quelli su Pitigrilli restarono solo dei sospetti, tanto che questi continuò a mantenere i contatti parigini con Rosselli. Nel 1938, fu licenziato dall’Ovra, anche se continuò a fare sporadica opera di delazione e a corteggiare i fascisti, e in particolare Ciano, per ottenere di essere «arianizzato». Invano. Dopo l’8 settembre 1943, trovò asilo in Svizzera per sfuggire, come ebreo, ai nazisti. Per la sua attività come informatore, Pitigrilli guadagnava ben 5000 lire al mese. Ma nostro padre diceva che Pitigrilli più che per soldi lo faceva per divertimento.
Il comunicato di Radio Bari era stato suggerito dagli antifascisti torinesi. Coloro che erano in prigione erano stati scarcerati da Badoglio a fine agosto 1943 ed è da loro, in particolare crediamo da Giua, che proveniva l’avvertimento di Radio Bari. Anche il riferimento al «pornografo» riporta a lui. Nel dopoguerra, la scoperta dei rapporti di Pitigrilli all’Ovra, firmati «informatore 373» - ora conservati all’Archivio Centrale dello Stato, Polizia Politica - portò all’inserimento del suo nome nella lista di informatori pubblicata dalla Gazzetta Ufficiale. Nei rapporti, coloro che erano stati denunciati da Pitigrilli ritrovarono incontri, conversazioni, circostanze specifiche che identificavano senza ombra di dubbio in Pitigrilli colui che li aveva redatti.
Pitigrilli fece ricorso, appoggiato da Andreotti, ma in seguito alle dichiarazioni di Foa, Giua, Garosci e Lussu la commissione per l’esame dei ricorsi decretò in data 13 ottobre 1947 che la colpevolezza di Pitigrilli era stata dimostrata «irrefutabilmente». Il tentativo di riabilitazione finì lì. Ormai convertito al cattolicesimo, Pitigrilli riparò in Argentina, poi a Parigi. A metà degli Anni Sessanta si ristabilì a Torino, ormai dimenticato. Morì nel 1975.
In questi decenni, numerosi sono stati i tentativi di riabilitarne la memoria, l’ultimo ora quello di suo figlio, il dottor Furlan. Tutti, si sono scontrati con la documentazione, che non lascia spazio a dubbi, soprattutto se confrontata con i ricordi degli arrestati. Sono ricordi che fanno parte della nostra memoria famigliare, eventi e circostanze di cui abbiamo sentito parlare molte volte e su cui possiamo prestare testimonianza a nostra volta. Mi spiace per il dottor Furlan, suo figlio, ma sia detto da figli a figli: si metta l’animo in pace, suo padre è proprio stato un informatore dell’Ovra.