La Stampa 13.12.16
Caccia grossa all’assassino di Lincoln
Andava
catturato vivo, invece fu ucciso: nella lettera di un testimone,
all’asta domani a New York, un giallo che richiama quello del killer di
Jfk
di Fabio Sindici
È una conversazione strana,
una trattativa crudele e cortese tra gentiluomini, come prima di un
duello all’alba, quella che ha luogo in una fattoria della Virginia
vicino a Fredericksburg, nelle prime ore del 26 aprile 1865. Strana,
perché i due interlocutori non vogliono dichiarare la propria identità
nonostante le insistenze: uno ha dato un nome falso, quando ha chiesto
ospitalità nella casa di campagna - ora è rinserrato nel capanno dove
viene conservato il tabacco. L’altro non vuole dire chi è, ma intima al
fuggitivo di arrendersi. Entrambi scelgono parole gentili per dialogare,
mostrano di rispettarsi. Ma sono parole tese.
Dietro le buone
maniere, ci sono pistole e fucili. Uno dei due uomini si chiama Luther
Byron Baker ed è un agente della National Detective Police. Nascosto nel
fienile c’è John Wilkes Booth, attore famoso, ancora più famoso come
assassino: l’uomo che dodici giorni prima ha colpito a morte Abraham
Lincoln, sedicesimo presidente degli Stati Uniti. Sono gli ultimi giorni
della Guerra di Secessione tra gli Stati del Nord e del Sud, in cui le
armate dei Confederati si sbandano o si arrendono ai nordisti.
Il racconto del detective
«Capitano,
so che siete un uomo coraggioso e onorevole», dice Booth al detective.
«Io sono zoppo, fate ritirare i vostri uomini di 50 iarde [circa 45
metri, ndr] in modo che possa venire fuori e combattere». Baker ribatte:
«Non siamo venuti qui per uccidere, siamo venuti a catturarvi». Le ore
concitate della caccia ai congiurati (sei persone reclutate da Booth),
seguaci della causa dei Confederati, si possono ricostruire dal racconto
in prima persona contenuto nella lunga lettera che uno dei
protagonisti, Luther Baker, spedisce al Segretario della Guerra Edwin
Stanton nel dicembre del 1865. Gli eventi di pochi mesi prima sembrano
arrivare diretti, dalla memoria alla pagina scritta. E nella vivacità
dei particolari si insinuano profonde zone d’ombra. I 25 fogli in
corsivo andranno all’asta da Christie’s, a New York, il prossimo 14
dicembre.
Oltre al racconto di Baker, il lotto contiene la
testimonianza del giovane John Garrett, figlio dei proprietari della
fattoria dove Booth si era rifugiato, insieme con il suo complice David
Herold. Il ragazzo è il primo a parlamentare con Booth. Si muove in una
posizione difficile: da una parte rischia di essere implicato per aver
favorito i congiurati, dall’altra teme una reazione da parte di Booth.
«Aprii il catenaccio alla porta ed entrai nel fienile […]. Uno dei due
si alzò e mi mise una mano sulla spalla per appoggiarsi, deve essere
stato l’uomo poi identificato come Booth. Gli dissi che la casa era
circondata da cinquanta uomini armati e che ogni resistenza sarebbe
stata inutile[…]. Allora rispose “Mi hai denunciato”, e mentre ritirava
la mano dalla mia spalla fece il gesto di prendere il revolver, o almeno
così mi sembrò. Io uscii dal capanno in gran fretta».
Il rapporto
di Baker a Stanton ha uno scopo preciso, quello di mettere in evidenza
il suo ruolo nella cattura per ottenere una larga fetta della taglia di
75 mila dollari stanziata dalle autorità. Alla caccia all’uomo fece
seguito una battaglia legale e parlamentare per la ricompensa che
scandalizzò la nazione.
Una catena di misteri
Più
interessante, anche se viziata dalle intenzioni di Baker, è la
ricostruzione della «scena del crimine». Infatti, nonostante gli ordini
di prendere Booth vivo, l’attore viene ucciso con un colpo dietro la
testa. Herold invece si era arreso durante le trattative. È stato un
dito troppo nervoso sul grilletto la causa della morte di Booth?
La
domanda ritorna periodicamente al centro del dibattito tra gli storici.
Forse perché l’uccisione di Booth preannuncia curiosamente quella, un
secolo dopo, di un altro killer presidenziale, l’assassino di John
Fitzgerald Kennedy, Lee Harvey Oswald. Per capire i risvolti della
vicenda è utile un flashback. Nei giorni successivi alla morte di
Lincoln in seguito all’attentato al Ford’s Theatre, Stanton richiama in
servizio il colonnello Lafayette Baker e lo rimette a capo della
National Detective Police, il servizio segreto creato da Lincoln. Baker è
la spia più abile e temuta dell’Unione. Aveva perso il posto per aver
spiato lo stesso Stanton e lo riperderà di nuovo per lo stretto
controllo esercitato sul nuovo presidente, Andrew Johnson.
È
l’uomo giusto per dirigere la caccia, però. Lafayette Baker chiama il
cugino Luther e un altro agente, Everton Conger, a comandare i 25
soldati del 16° Cavalleggeri di New York. Tra questi c’è un sergente che
soffre di allucinazioni e visioni mistiche, Boston Corbett. Il giorno
dell’assedio nella fattoria dei Garrett è lui ad abbandonare il posto
che gli era stato assegnato e a sparare il colpo che uccide Booth,
mentre tenta di fuggire dal retro del fienile. Certo Corbett non sembra
il militare più adatto per partecipare a una missione tanto delicata. Ma
non sono gli unici punti oscuri. Sul corpo caldo di Booth, Baker accusa
Conger di avergli sparato. Il segretario Stanton era stato collegato ai
«Dahlgren papers», carte (forse false) da cui risulterebbe un tentativo
dei nordisti di assassinare il presidente confederato Jefferson Davis.
L’attentato riuscito di Booth sarebbe stato quindi una ritorsione?
A
infittire il mistero è la morte di Lafayette Baker, tre anni dopo,
ufficialmente per meningite, in realtà per un lento avvelenamento da
arsenico, come si è scoperto di recente. Il cugino Luther invece
continuò a raccontare per anni la storia della caccia agli assassini,
sempre leggermente diversa, da un palco di oratore, ai concittadini di
Lansing. Poi saltava in sella al suo cavallo Buckskin che lo aveva
portato nella caccia e che, impagliato, finirà nel museo statale del
Michigan.