Corriere 13.12.16
Lo Stato è vivo e lotta per restarlo Il nuovo volto globale del potere
di Franco Venturini
Lo
Stato è forse morto, ucciso dalla globalizzazione che ne ha intaccato
gli elementi costitutivi e svuotato i poteri? L’interrogativo è di
grande attualità, mentre l’Occidente transatlantico viene scosso da
movimenti «populisti», i cui aderenti proprio alla globalizzazione
attribuiscono il loro malessere identitario e l’abbassamento del loro
livello di vita. Cercano spesso rifugio, questi movimenti, in un ritorno
all’antico, in una riscossa degli Stati nazionali e dei loro privilegi
sovrani. Ma in realtà il presunto braccio di ferro tra Stati e
globalizzazione non si è svolto e non si svolge come osservatori
frettolosi mostrano di credere. Con la consueta sapienza giuridica e con
fine sensibilità politica ce ne dà conto Sabino Cassese nel suo ultimo
saggio Territori e potere. Un nuovo ruolo per gli Stati? (il Mulino),
dedicato alla storia plurisecolare dello Stato moderno e alla sua
evoluzione nell’era del mondo globalizzato.
Lo Stato, osserva
Cassese, non è una realtà statica. Al contrario, esso è capace di
evoluzioni volontarie e mirate che gli consentono di adeguarsi alla
globalizzazione, adattando le proprie strutture e funzioni alle nuove
realtà. E non basta, perché molti aspetti della globalizzazione sono una
emanazione diretta degli Stati, che in tal modo si attrezzano per
affrontare sfide alle quali da soli non sarebbero stati in grado di
rispondere.
Non sono dunque «vittime» gli Stati, bensì attori
consapevoli di un mondo globalizzato nel quale partecipano alla
formazione e al funzionamento di amministrazioni e istituzioni globali,
organizzazioni intergovernative, corti ultrastatali, organismi ibridi
pubblici e privati, agenzie non governative. Ne risulta, ancora in
maniera incompleta, una Global Polity (un «ordinamento politico
globale») cui nessuno ormai nega una forte presenza nel governo delle
nazioni e nelle relazioni internazionali. Beninteso senza che esistano
un unico ordine giuridico oppure un governo globale, ma piuttosto molti
regimi settoriali.
Lo Stato, scrive Cassese, è diventato più
malleabile, più capace di adattarsi e di mutare a seconda delle nuove
sfide e dei nuovi contesti. Deve tener conto, lo Stato, dei diversi
regimi regolatori globali che costituiscono ormai un enorme conglomerato
di ordini giuridici interdipendenti. Nel commercio, nel lavoro, nella
difesa dell’ambiente, in quella dei diritti umani, per citare soltanto
qualche esempio. Ma comprendere la nuova realtà non significa
sottomettersi: lo Stato non riceve ordini, bensì raccomandazioni alle
quali lui stesso ha contribuito partecipando a negoziati, sottoscrivendo
accordi, avanzando proposte, finanziando iniziative.
Nel mondo vi
sono oggi 2 mila regimi regolatori globali e 60 mila organizzazioni
internazionali non governative. La globalizzazione, spiega l’autore, è
al tempo stesso denazionalizzazione delle istituzioni statali e processo
cumulativo di espansione del commercio, delle comunicazioni, dei media,
dei flussi migratori, del crimine, del terrorismo, persino della moda.
Cresce una rule of law globale (vale a dire principi comuni a tutti i
regimi regolatori) e si sviluppa la progressiva giuridificazione delle
reti amministrative globali. Ma, di pari passo, si pone una questione
cruciale: la globalizzazione è forse un vulnus per la democrazia, dal
momento che diminuisce il controllo elettorale sui governi nazionali,
creando altri possibili interlocutori globali non legittimati attraverso
il medesimo processo?
In realtà, fa notare Cassese, il deficit
democratico della Global Polity viene compensato da molti surrogati,
come la partecipazione nei processi decisionali e la responsabilità
incrociata degli attori. Ma rimane, nelle parole dell’autore, «il
compito grandioso di ripensare lo Stato nel contesto delle nuove
tendenze: i cambiamenti interni derivanti dal mutare delle frontiere e
dalla ridefinizione della base personale dello Stato costituita dal
popolo, e i cambiamenti esterni, derivanti dall’integrazione dello Stato
in unità superiori funzionali dove si esercita una sovranità condivisa»
.
Il lavoro di Sabino Cassese dedica all’Europa una analisi
lucida e finalmente non pessimista. L’Unione ha raggiunto il suo
principale obiettivo, evitando nuove guerre nell’area europea, e
diversamente dagli Stati Uniti d’America è unita al suo interno su
alcuni valori fondamentali condivisi. Sovranazionale e intergovernativa,
con una democrazia e un processo decisionale compositi, l’Europa
continua a progredire anche grazie alle crisi che la scuotono,
sollecitando riflessioni e decisioni. L’eccesso di flussi migratori
porta al rafforzamento delle frontiere esterne. I movimenti «populisti»
producono l’effetto di politicizzare la costruzione europea e darle un
nuovo rilievo nell’opinione pubblica. Osservazioni sottili e
incoraggianti, che speriamo trovino conferma nell’incalzante stagione
delle urne.