Corriere 13.12.16
La storia è un «Dio nascosto» Goldmann tra Marx e Pascal
Il filosofo esule che considerava la rivoluzione una scommessa
di Giorgio Pressburger
Sono
passati più di quattro decenni da quando gli ultimi grandi teorici
marxisti della cultura europea sono morti. Si tratta di Lucien Goldmann e
György Lukács. Anche il loro mondo si è estinto, scomparso, dissolto.
La società socialista rappresentata dall’Unione Sovietica da tempo non
c’è più. Restano la grande Cina, Vietnam, Corea del Nord, Cuba, Laos,
Eritrea, Turkmenistan, Bielorussia. Tutto il resto oscilla, compare,
scompare, ricompare come Le Dieu caché , il Dio nascosto dell’omonimo
libro di Goldmann uscito nel 1955.
Che cosa era questa idea di
Dieu caché ? E chi erano questi due grandi pensatori, fino a 20-30 anni
fa colonne della filosofia, della sociologia e dell’estetica marxista?
Che cosa hanno fatto in vita, per modificare il mondo così com’era
allora, capitalista e borghese, comunista e burocratico, pieno di
menzogne? Individualista ed egoista, democratico e spietato? Beh, sia
Lukács, sia Goldmann, che del primo era fedele seguace, sono stati messi
da parte, dimenticati, denigrati. Il pensiero attivo, le preoccupazioni
per il destino dell’umanità, le elaborazioni della filosofia del cuore e
della ragione, come diceva Goldmann, ora non esistono più. Esiste il
tentativo di salvare l’ambiente, ma non chi ci vive, non soprattutto
l’uomo, questo essere tragico che da un lato scommette la sua vita su
un’entità, Dio, di cui non sa nulla, e dall’altro lato, scommette sul
flusso della storia, del cui futuro egualmente non sa nulla, ma da cui
spera giustizia, solidarietà, libertà, benessere: una comunità umana
pacificata.
Parliamo prima di Lucien Goldmann, perché dei due è il
più negletto e più dimenticato. Lukács notoriamente era ungherese,
figlio della grande borghesia budapestina. Goldmann invece era nato nel
1913 e cresciuto in un paesino della Romania, Botosani, ed era poi
emigrato in Svizzera e a Tolosa, in Francia, a causa della persecuzione
razzista contro gli ebrei. Dopo la guerra si iscrisse al Partito
comunista rumeno, da cui fu espulso con l’accusa di deviazione
trotskista. Tornò in Francia, dove cominciò a insegnare a Parigi
all’École des hautes ètudes. Qui scrisse e pubblicò i suoi libri di
sociologia, di filosofia e di estetica, divenendo celebre dopo la
pubblicazione di Le Dieu caché , uno studio sulla filosofia di Blaise
Pascal e sulla drammaturgia delle tragedie di Jean Racine. Sia Pascal
sia Racine erano stati membri della celebre cerchia di Port Royal, una
congrega di giansenisti a quell’epoca influenti e autorevoli pensatori
noti per le loro dottrine rigorose.
Il giansenismo era respinto e
combattuto dalla Chiesa cattolica perché predicava la connaturata
malvagità dell’uomo, che solo con la grazia individuale data da Dio, a
ognuno singolarmente, poteva sfuggire a questa condanna al male. L’uomo,
per quanto bene facesse, non poteva meritarsi la grazia. Secondo questa
dottrina ogni essere umano nasceva predestinato da Dio stesso al bene o
al male.
Il marxista ebreo Lucien Goldmann si immerse fino al
collo nello studio di questa dottrina, attraverso la lettura delle opere
di Pascal e di Racine, di Agostino d’Ippona, di Kant e del pensiero di
Jansen, professore all’Università di Lovanio e propugnatore principale
della fede a lui intitolata, appunto il giansenismo. Tra l’altro quelle
dottrine a un certo punto anche in Italia avevano preso piede, tant’è
vero che il nostro maggiore narratore, Alessandro Manzoni, sì, proprio
lui, era stato un fervente giansenista come del resto i genitori di
Giuseppe Mazzini.
Il pari (parola francese che significa
scommessa) è, secondo Goldmann, al centro di questo pensiero, e l’uomo
tragico vive su questa scommessa, sia religiosa, sia materialista per
chi punta sulla storia, e non sulla volontà e presenza-assenza di Dio,
il famoso Dieu caché , il dio nascosto, spettatore delle nostre vicende
terrene. Il rovello morale di Goldmann, la sua dedizione a studi
profondi e non dogmatici gli hanno reso difficile la vita, e forse anche
la morte, hanno messo in dubbio la sua opera in un’epoca dedita al
perseguimento soltanto degli interessi personali, esclusivamente
egoistici e privati. Goldmann morì nel 1970 a 57 anni, quando il Partito
comunista francese era già in declino, e la sinistra europea aveva
cominciato la sua marcia verso l’abisso.
Il destino di Lukács,
mente universale e di grande elevatezza di pensiero, è stato diverso,
più benevolo e forse più grato, rispetto a quello di Goldmann. Morì un
anno più tardi del suo virtuale allievo. Si era ritirato a vita privata,
ma era ancora venerato dal suo popolo e anche dal partito che ancora a
quell’epoca godeva del privilegio conquistato nel campo dei «satelliti»
dell’Urss con il sacrificio di sangue della rivolta del 1956. Lukács
aveva scontato con la galera la sua adesione a quella sollevazione, ma
aveva fatto in tempo a vedere anche il tentativo della Cecoslovacchia di
Dubcek di conquistare un socialismo dal volto umano, tentativo anche lì
soffocato dai carri armati del Patto di Varsavia.
Però, vent’anni
dopo quella repressione, nel 1989 crollò il Muro di Berlino e crollò
anche l’impero sovietico. Ma quel che era più tragico fu la sparizione
dell’idea di solidarietà umana dalla mente degli uomini per dare spazio
alla voracità e all’ingordigia, dilaganti sulla terra. Scomparve anche
la menzogna di molti regimi comunisti costruiti sull’inganno, e anche di
molta parte della scommessa sulla giustizia della storia, il famoso
pari , la scommessa della filosofia di Goldmann.