La Stampa 11.12.16
Libertà d’espressione sull’aborto in Francia
di Vladimiro Zagrebelsky
Su
proposta del governo, in quella Francia che fin dalla Dichiarazione dei
diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 proclama che la libera
comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più
preziosi dell’uomo, il Senato dopo l’Assemblea nazionale ha approvato
una legge penale per punire con carcere e ammende chi trasmette
indicazioni false per indurre in errore e dissuadere donne che
s’informano sull’interruzione volontaria della gravidanza o esercita
pressioni psicologiche. Inutile è stata la protesta dei vescovi di
Francia. Esisteva già un reato per punire chi impedisce l’accesso agli
ospedali ove si pratica l’aborto o perturba il lavoro degli addetti o
minaccia medici, donne e loro parenti. L’interpretazione che se ne è
data limita la punibilità a condotte materiali di violenza o
intimidazione. Ora a essere punite saranno anche informazioni «false» e
«pressioni psicologiche». Sono particolarmente presi di mira i siti che
si presentano come neutri, oggettivamente informativi, mentre sono
ideologicamente orientati anti-aborto e dialogano con le donne
enfatizzando i rischi medici e il peso psicologico dell’aborto. Oltre a
tali siti esiste quello governativo informativo nella materia, ma pare
che sia meno consultato, anche perché registrato dopo che i primi
avevano già adottato sigle e nomi che richiamano l’attenzione.
Il
tema dell’aborto e della sua regolamentazione non cessa di dividere le
società e, per la sua natura, non è destinato a divenire terreno di
consenso indiscusso. Proprio ora esso ha contrapposto in Francia Fillon e
Juppé, candidati alle primarie della destra e negli Stati Uniti è stato
cavallo di battaglia di Trump. È tipicamente un soggetto di legittimo e
profondamente sentito dibattito nelle società libere, che, fuori dei
casi in cui vi sia ricorso alla violenza o alla minaccia, non deve
essere impedito. Nella nuova legge francese si fa riferimento a
informazioni «false», accanto a semplici «pressioni psicologiche». A
decidere se le informazioni trasmesse siano false e se le opinioni o
consigli espressi costituiscano pressioni psicologiche inammissibili,
vengono chiamati i giudici penali. Come non vedere che un simile
giudizio sia inevitabilmente condizionato dalla posizione ideologica e
dai valori condivisi da chi deve darlo? Quale oggettività e
prevedibilità può avere? A un’informazione che si ritiene non veritiera
se ne può contrapporre un’altra corretta; ad una pressione psicologica
si può opporre una argomentazione liberatoria. È questo il criterio che
caratterizza le società libere, come diciamo essere le nostre.
In
Europa il principio che regge la libertà di espressione è stato
enunciato dalla Corte europea dei diritti umani, quando ha detto che
essa vale non soltanto per le informazioni o le idee che sono accolte
con favore o sono considerate inoffensive o indifferenti, ma anche per
quelle che urtano, colpiscono, inquietano lo Stato o una qualunque parte
della popolazione. È questa un’esigenza propria del pluralismo, della
tolleranza e dello spirito di apertura senza i quali non esiste società
democratica.
Certo esiste il problema della propalazione di
falsità pericolose, che i nuovi mezzi di comunicazione aumentano a
dismisura. E la stessa libertà dei cittadini e la democrazia possono
divenirne vittime. Ma si tratta di un rischio che si contrasta con più
informazione veritiera e più vivacità di confronto delle idee. Non con
la punizione di chi dissentendo promuove o propaga le sue.