La Stampa 10.12.16
Da Renzi luce verde al suo ministro dopo l’intesa con i capi corrente Pd
Accordo in vista con Berlusconi sulla legge elettorale. Si lavora alla squadra: esce Boschi
di Fabio Martini
Il
nuovo «Patto Gentiloni» è stato fortissimamente voluto da Matteo Renzi,
che ieri mattina è approdato a Roma dalla sua Pontassieve, alfine
convinto ad abbandonare per davvero Palazzo Chigi. Ma l’accordo per un
nuovo governo guidato dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni è
diventato più fattibile e quasi fatto, quando hanno dato il loro via
libera i notabili della fronda interna al Pd - Dario Franceschini e
Andrea Orlando, soddisfatti per aver indotto Renzi a lasciare - e quando
è stato avallato per vie informali da Forza Italia e da Mediaset. Da
Silvio Berlusconi e da Fedele Confalonieri - che ha un buon rapporto
personale con Paolo Gentiloni - è arrivato a Renzi un univoco segnale di
riscontro: restiamo all’opposizione, ma non ci metteremo di traverso.
Purché ci sia un accordo sulla riforma elettorale. Un accordo, che a
quel che dicono voci molto informali, si sarebbe trovato su un
«semi-maggioritario», un sistema che escluda le preferenze (detestate da
Berlusconi) e consenta a Forza Italia di eleggersi un drappello di
parlamentari «nominati». L’uovo di Colombo, ma su questo non ci sono
ancora certezze, potrebbe essere un Mattarellum riveduto e corretto, che
elegga gli onorevoli nei collegi, ma lasciando un’ampia quota al
proporzionale e dunque a parlamentari indicati dai partiti. Ma
ovviamente la candidatura Gentiloni non avrebbe preso quota se dal
Quirinale non fossero pervenuti a Palazzo Chigi ampi cenni di riscontro,
per un ragione eguale e contraria a quelle che hanno spinto Renzi a
sostenere il suo amico Paolo: proprio perché vicino a Renzi, a Gentiloni
dovrebbe essere risparmiato quel logoramento pretestuoso e gratuito,
che il Quirinale teme in qualsiasi governo. E un Gentiloni premier viene
considerato perfettamente in grado di affrontare gli appuntamenti
internazionali che attendono l’Italia: l’anniversario dei Trattati di
Roma, a marzo, il G7 di Taormina, a fine maggio, la riforma del Trattato
di Dublino.
Certo, per tutta la giornata è continuato a
rimbalzare anche il nome di Pier Carlo Padoan, «rilanciato» dal
pericoloso destino nel quale sembrava essersi infilato il Monte dei
Paschi. Le notizie, poi rivelatesi infondate, di un no della Bce sulla
vicenda dell’aumento di capitale, non soltanto aveva rimesso in pista
Padoan ma per almeno un’ora, ha indotto il Quirinale ad accarezzare
un’ipotesi paradossale: poiché un decreto-legge di «salvataggio» del
Monte sembrava urgentissimo (lunedì mattina) e poiché soltanto un
governo in carica avrebbe potuto adottarlo, Matteo Renzi sarebbe stato
costretto a rinunciare alle dimissioni. Poi la vicenda Bce si è
ridimensionata, Renzi è ridisceso dal trono e Paolo Gentiloni è tornato
ad avvicinarsi all’incarico.
Un episodio più di tante voci
dimostra che l’operazione-Gentiloni è ad un passo dal traguardo. Ieri il
«presidente in pectore» ha avviato una sorta di «pre-consultazioni».
Incontrando il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, capo
della fronda anti-Renzi; il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina,
capofila di una corrente di ex-Ds filo-Renzi; Maria Elena Boschi, una
dei pochissimi ministri ad essersi spesi nella campagna referendaria è
anche la ministra di una riforma costituzionale che è stata severamente
bocciata. Come aveva detto lei su stessa, la Boschi lascerà il suo
incarico di governo? Seguirà Renzi al partito, destinato a diventare il
fortino dal quale il segretario lancerà la sua battaglia per
riconquistare Palazzo Chigi? Oppure avrà un nuovo incarico nel governo?
Ieri sera la Boschi non ha fatto commenti ma alla fine sarà lei a
decidere, non subirà consigli più o meno interessati.
Una cosa è
certa. Nei due colloqui che Renzi e Gentiloni hanno avuto ieri a palazzo
Chigi si è iniziata ad ipotizzare la squadra del nuovo governo. La
parola d’ordine è continuità, ma con alcuni «tagli». Sono quattro i
maggiori indiziati ad uscire: oltre alla Boschi, il ministro
dell’Istruzione Stefania Giannini, colpita dall’insuccesso della «buona
scuola»; il ministro della Funzione pubblica Marianna Madia; il ministro
dell’Ambiente Gian Luca Galletti. Sembrano destinati ai loro posti
Andrea Orlando (Giustizia) e Dario Franceschini (Beni culturali), anche
se ieri sera si era diffusa la voce di un suo passaggio agli Esteri.
Voce che non ha trovato conferma, mentre per gli Esteri in pole position
la segretaria generale della Farnesina l’ambasciatrice Elisabetta
Belloni, un ottimo rapporto con Gentiloni.