mercoledì 7 dicembre 2016

Internazionale 2.12. 2016Scienza
Nati stanchi
di Emma Young, New Scientist, Regno Unito

Molte persone si sentono sempre affaticate anche se hanno dormito tutta la notte. Perché la mancanza di sonno, dicono i ricercatori, non è l’unica causa della stanchezza cronica
Vai a letto alle 11 di sera, al­ la fine di una giornata impegnativa. Dormi tut­ta la notte ma quando ti svegli ti senti esausto. Se vi riconoscete in questa descrizione, sappiate che non siete i soli. Una ricerca dell’università di Radboud, nei Paesi Bassi, ha scoperto che su un campio­ne di più di ventimila persone il 30 per cento circa di loro era andato dal medico perché si sentiva sempre stanco. Il 20 per cento degli statunitensi afferma di aver sperimentato una spossatezza così grande da impedirgli di avere una vita normale. Le conseguenze sono anche economiche: i dipendenti im­produttivi a causa della stanchezza costano ai datori di lavoro più di cento miliardi di dollari all’anno.
Sorprende, quindi, che solo ora si stia cominciando a studiare in modo serio que­sta condizione. Fino a poco tempo fa la stanchezza nelle ore diurne era considerata fiacchezza fisica o bisogno di dormire. Ne­ gli Stati Uniti i Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie (Cdc) stimano che il 35 per cento della popolazione non dorma abbastanza. Se a questo si aggiunge il fatto che la stanchezza è soggettiva e quindi dif­ficile da misurare, e che si situa a cavallo tra gli studi sul corpo e quelli sulla mente, non è strano che finora sia sfuggita quasi com­pletamente all’indagine scientifica.
Ma, dato che la stanchezza si accompa­gna a moltissime malattie comuni, oltre
che al normale invecchiamento, capire meglio la sua origine potrebbe migliorare la qualità della vita di molte persone. Un gruppo di ricercatori sta cercando d’indivi­duare cause e possibili rimedi. Anche se è presto per parlare di risultati, è emerso qualche indizio.
Una grande differenza
Potremmo pensare che una causa della no­stra spossatezza sia lo stress della vita quo­tidiana, maggiore che in passato. Presi tra le esigenze del lavoro e della famiglia, e as­sillati dagli onnipresenti cellulari, molti di noi si sentono prosciugati. Ma forse non è così. Secondo Anna Katharina Schafner, storica dell’università di Kent a Canterbu­ry, nel Regno Unito, e autrice di Exhaustion: a history, nel corso della storia le per­sone si sono sempre lamentate di essere stanche idealizzando la maggiore tranquil­lità del passato. La stanchezza, spiega Schaffner, è stata ricondotta all’allinea­ mento dei pianeti, alla mancanza di devo­zione e perfino a un inconscio desiderio di morte. “Per Sigmund Freud una parte con­sistente di noi desidera uno stato di riposo fisico e mentale permanente”, afferma.
Nell’ottocento spuntò una nuova dia­ gnosi: la nevrastenia. Il medico statuniten­se George M. Beard sosteneva che questa condizione, presumibilmente causata da un esaurimento nervoso, fosse responsabi­le della stanchezza fisica e mentale, dell’ira­scibilità, della sfiducia, dei problemi denta­ li, dei piedi freddi e dei capelli secchi. Beard attribuiva l’origine della nevrastenia all’av­vento delle macchine a vapore e delle in­venzioni moderne, come il telegrafo. An­ che l’educazione femminile era considera­ta stancante e l’introduzione delle rotative portò con sé moltissimi quotidiani e riviste con cui tenere il passo. “Beard temeva che gli esseri umani moderni non fossero in grado di resistere a questo sovraccarico cronico”, dice Schafner.
Se la colpa non è della vita moderna, forse almeno in parte la stanchezza dipen­de dalla carenza di sonno. Tuttavia i ricer­catori distinguono il bisogno di dormire dall’affaticamento: sono cose strettamente imparentate ma diverse. La buona notizia è che c’è un modo semplice per stabilire qua­ le delle due ci sta sfinendo: il test di latenza del sonno. L’esame, usato nei centri del sonno, si basa sull’idea che, se durante il giorno vi basta stendervi in un luogo tran­quillo per addormentarvi nel giro di qual­ che minuto, allora o non dormite a suffi­cienza o soffrite di un disturbo del sonno. Se dopo un quarto d’ora non crollate e co­munque vi sentite ancora stanchi, il vostro problema potrebbe essere l’affaticamento.
Ma, se non è uguale alla sonnolenza, cos’è la fatica? Mary Harrington, neuro­ scienziata allo Smith college di Northamp­ ton, in Massachusetts, è tra i pochi ricerca­ tori sulle tracce di un segnale biologico ri­velatore della stanchezza. Finora non ne è stato trovato uno che corrisponda alla stan­chezza percepita dalle persone. Ma “abbia­mo qualche candidato”, assicura Harring­ ton. È possibile che la stanchezza provata di giorno dipenda da un problema del ritmo circadiano, che regola le fasi di veglia e di sonno. Questo orologio è nel nucleo sopra­ chiasmatico del cervello, che coordina gli ormoni e l’attività cerebrale per assicurare che di giorno ci sentiamo svegli. In circo­ stanze normali il nucleo soprachiasmatico fa sì che abbiamo un picco di lucidità al mattino, un calo nel primo pomeriggio e un abbandono alla stanchezza la sera.
Quanto dormiamo di notte ha un im­patto relativo su questo ciclo, afferma Harrington. La sensazione di essere svegli e vigili dipende piuttosto dalla qualità dei segnali ormonali ed elettrici inviati dal nu­cleo soprachiasmatico. Quest’ultimo im­posta il suo orologio in base alla quantità di luce che colpisce la retina, in modo da sin­cronizzarlo con il trascorrere del giorno. Poca luce al mattino o troppa luce la sera possono interrompere i segnali del nucleo soprachiasmatico e portare a una specie di letargo diurno. “Le alterazioni del ritmo circadiano sono abbastanza comuni nella nostra società e la situazione sta peggiorando perché di notte si usa sempre più luce”, dice Harrington.
Se di giorno vi sentite come se non vi foste mai svegliati del tutto ma non avete sonno quando dovete andare a dormire, il vostro nucleo soprachiasmatico potrebbe essere mal calibrato. Harrington consiglia di trascorrere venti minuti all’aria aperta ogni mattino e di spegnere tutti gli schermi entro le dieci di sera, per evitare di far rimanere il nucleo soprachiasmatico impostato in modalità diurna. Un altro modo per regolare il nucleo soprachiasmatico è fare sport. Molti studi mettono in relazione l’esercizio fisico fatto una volta ogni tanto o regolarmente a una minore spossatezza. “Le persone affaticate odiano sentirselo dire, ma il movimento può fare una grande differenza”, dice Harrington. Così si spiegherebbe anche perché spesso le persone che cominciano a fare attività fisica regolare sostengono di dormire meglio, anche se gli studi dimostrano che non dormono più a lungo. La qualità del sonno può essere più importante della quantità.
Oltre a regolare il nucleo soprachiasmatico, l’esercizio fisico aiuta a non essere sovrappeso. Ci sono buoni motivi per credere che avere meno grasso contrasti il senso di fatica. Il grasso corporeo non solo richiede maggiore energia negli sposta- menti, ma rilascia leptina, un ormone che segnala al cervello la presenza nel corpo di riserve energetiche adeguate. Alcuni studi hanno messo in relazione gli alti livelli di leptina a un maggiore senso di fatica, una scoperta coerente dal punto di vista evoluzionistico: se non sei a corto di cibo, non hai motivo di muoverti per andarlo a cercare. Non a caso le persone che digiunano con regolarità si sentono più energiche quando non mangiano rispetto a quando mangiano spesso. Con l’obesità sempre più diffusa, i segnali inviati dalla leptina sono diventati forse una causa comune del costante senso di stanchezza. Ma in gioco potrebbe esserci anche altro.
Le persone con grasso in eccesso hanno anche livelli più alti di infiammazione, che è la risposta immunitaria di una parte del corpo, che stimola altre zone a entrare in azione rilasciando nel sangue proteine chiamate citochine. Nel grasso corporeo sono immagazzinate grandi quantità di citochine, quindi chi ha più grasso ha anche più citochine in circolazione. Oltre a stimo- lare il sistema immunitario, le citochine fanno sentire a corto di energie, come san- no bene tutti quelli che hanno avuto un raffreddore. Nel 1998 Benjamin Hurt, dell’università della California a Davis, osservava che questa sensazione era una strategia dell’evoluzione per combattere un attacco virale o batterico: quando ti devi riposare per rimetterti in forma, la stanchezza è dalla tua parte. aspetti della stanchezza, come la carenza di motivazione, l’incertezza sul da farsi o semplicemente il fatto di sentirsi fiacchi. Ma l’infiammazione potrebbe sfibrarvi anche se non siete sovrappeso o malati. Uno stile di vita sedentario, uno stress costante e una dieta scorretta, ricca di zuccheri e con poca frutta e verdura, sono associati a una lieve infiammazione cronica. Ci sono anche pro- ve preliminari del fatto che l’interruzione del ritmo circadiano può aumentare l’infiammazione del cervello. Quindi l’infiammazione dovuta allo stile di vita può spiegare perché tante persone si sentono spesso stanchissime? “Sì”, sostiene Dantzer. I test epidemiologici indicano una relazione tra la stanchezza e livelli elevati di IL-6, un marcatore dell’infiammazione.
È presto per esserne certi, ma l’iniam- mazione potrebbe essere un ponte che col- lega la stanchezza alla cattiva qualità del sonno, all’inattività fisica e alla dieta scorretta. Se fosse così, allora basterebbe cam L’osservazione degli animali lo ha dimostrato. In un esperimento Harrington ha somministrato a dei topi una sostanza che produce una lieve infiammazione. An- che se continuavano a muoversi all’interno delle loro gabbie e a mangiare normalmente, i topi evitavano di correre nelle ruote. Di solito, quando sono in buona salute, ai topi piace la ruota: “È come aver voglia di uscire e divertirsi, di fare qualcosa non strettamente finalizzato alla sopravvivenza”. Se una lieve infiammazione può privare i topi del loro entusiasmo per la vita, c’è motivo di credere che lo stesso succeda alle persone.
Depressi e fiacchi
Robert Dantzer e i suoi colleghi dell’M. D. Anderson cancer center di Houston, in Texas, hanno scoperto che i cambiamenti in alcune aree chiave del cervello potrebbero essere all’origine della mancanza di motivazione. Dai loro studi emerge che l’infiammazione altera l’attività nelle aree associate alla motivazione, come le reti fronto-striatali, che si attivano quando scegliamo qualcosa in vista di una ricompensa, e la corteccia insulare, che processa la sensazione di stanchezza fisica. Questi cambiamenti potrebbero spiegare alcuni

biare un po’ il nostro stile di vita per combattere l’affaticamento che proviamo di giorno: più esercizio fisico e un consumo maggiore di frutta e verdura ricche di polifenoli (come l’uva o la curcuma) che secondo alcuni studi ridurrebbero le infiammazioni. Tuttavia, secondo Anna Kuppuswami, una neuroscienziata dello University college di Londra, nel Regno Unito, l’infiammazione non è la risposta a tutte le domande. Kuppuswami studia le persone che soffrono di stanchezza debilitante in seguito a un ictus, quando i loro cervelli sono molto infiammati. “L’infiammazione è una causa scatenante della stanchezza. Eppure la riscontriamo nei pazienti anche molto dopo che i marcatori dell’infiammazione si sono normalizzati”, dice. A confondere le acque c’è un altro fattore: i segnali biologici che portano alcuni a provare uno sfibrante senso di stanchezza possono lasciare indifferenti altri . Certe persone sono capaci di farsi forza, dice Kuppuswami. Ma per riuscirci è fondamentale essere motivati.
Alcuni ricercatori hanno preso in esame il ruolo della dopamina, un neurotrasmettitore che ci spinge a cercare il piacere. Quando la dopamina viene meno, come succede per esempio a chi è affetto dal morbo di Parkinson, la depressione e l’apatia possono essere devastanti.
La depressione è associata anche alla ridotta disponibilità di un altro neurotra- smettitore, la serotonina. Dal momento che quasi tutte le persone che soffrono di depressione grave affermano di sentirsi molto stanche, e che una persona su cinque è stata depressa a un certo punto della sua vita, non sorprende che anche questo disturbo possa essere una causa comune della stanchezza. Secondo Ranjana Mehta, del Texas A&M institute for neuroscience, la depressione diffusa più spiegare per- ché tante persone si sentono così prive di forze.
Montagne russe
Come hanno dimostrato Mehta e il suo gruppo di ricercatori, l’esaurimento mentale che accompagna la depressione può generare stanchezza fisica. In alcuni esperimenti le persone a cui veniva richiesto di sollevare dei pesi mentre facevano dei cal- coli a mente avevano il 25 per cento di resistenza in meno rispetto a chi si limitava a sollevare i pesi. La risonanza magnetica ha poi spiegato il perché: gli sforzi mentali riducono l’attività nelle regioni frontali del cervello, che si occupano di dirigere i movimenti o di mantenere la concentrazione nell’uso delle mani. Quando il cervello è sotto pressione, si possono stancare anche i muscoli.
Oggi, visto che le cause possibili si moltiplicano, c’è ancora più interesse a risolvere l’enigma della stanchezza. Negli Stati Uniti i National institutes of health stanno creando un programma di ricerca per individuare gli inafferrabili segni distintivi della stanchezza. Secondo Harrington servono altre osservazioni sugli animali e uno sforzo congiunto di più ricercatori che la- vorino per sottrarre, una volta per tutte, la stanchezza dall’oscurità medica in cui è relegata. “Mi impegno perché credo che possiamo riuscirci”, dice. “Ma mi sento sola”.
Nel frattempo Harrington consiglia di non fermarsi quando facciamo qualcosa che ci piace, anche se ci sentiamo stanchi. È importante resistere, perché una potente ricompensa può innescare il rilascio di dopamina nelle aree del cervello legate alla motivazione e tenerci svegli. In alternativa possiamo fare qualcosa che ci stressa: il rilascio di adrenalina aiuta a superare la letargia. L’ideale è combinare lo stress e il piacere. Come dice Harrington: “Chi si sente stanco sulle montagne russe?”.