Il Sole Domenica 4.12.16
Harwa aspetta la resurrezione
di Cinzia Dal Maso
Resurrezione:
una seconda vita in terra dopo la morte. In Egitto se ne parlava già
sette secoli prima della nostra era. Ne parlò nella propria tomba Harwa,
alto funzionario egiziano della XXV dinastia che governò forse tutto
l’Egitto meridionale, celebrato a Tebe a pochi passi dal tempio della
regina Hatshepsut. Nei rilievi e nelle iscrizioni sulle pareti Harwa non
racconta la propria vita ultraterrena, come finora creduto, bensì il
suo ritorno tra i mortali. Dunque l’immagine monolitica di un Egitto
antico teso a celebrare l’aldilà, che giunse a costruire “case in
pietra” enormi e singolari – le piramidi - per assicurare al defunto
vita duratura nell’oltretomba, comincia a incrinarsi. È questo il
risultato sorprendente di venti anni di ricerche su Harwa condotte
dall’egittologo Francesco Tiradritti e dalla sua équipe: quasi un regalo
di compleanno giunto al termine di un lungo e lento cammino.
La
tomba di Harwa è enorme: con i suoi quattromila metri quadrati di
estensione, è una delle più grandi mai realizzate in Egitto per un
privato cittadino. Si è dovuto scavare fino al 2002 per svuotare tutti i
suoi ambienti sotterranei. E per scoprire che la stanza più profonda,
da sempre ritenuta la stanza del sarcofago di Harwa, in realtà non
conteneva nessun sarcofago e nessun corpo. I frammenti di pietra
recuperati si univano a formare un naos, una cella all’interno della
quale si poneva generalmente una statua. Nel 2002 si capì insomma che
quella costruzione enorme era stata realizzata per custodire non il
corpo ma il simulacro di Harwa. Non era una tomba ma un cenotafio.
Nel
frattempo, però, si era già cominciato a restaurare e studiare i
rilievi e le iscrizioni che decorano pareti e pilastri delle due sale
ipostile precedenti la camera del naos. Sulla parete sud della prima
sala si ripercorre la vita terrena di Harwa, con lui che invecchia
progressivamente fino a diventare anziano. Poi, nel passaggio tra la
prima e la seconda sala, in un’allegoria della morte, il dio Anubi
afferra Harwa per mano e lo conduce all’oltretomba. Lui ha paura, tiene
la mano aperta nell’estremo tentativo di sfuggire alla presa di Anubi e
al proprio destino. È questa l’ultima parete toccata dalla luce del
sole. Dalla seconda sala ipostila, regna solo il buio.
Qui il
rituale dell’apertura della bocca, che generalmente in Egitto serviva a
portare il defunto a nuova vita, nel caso di Harwa ha invece la funzione
di separare il corpo dall’anima. Tiradritti lo ha scoperto quando, a
partire dal 2009, ha intrapreso lo studio dei rilievi del lato nord del
cenotafio. Ha capito che in realtà solo il corpo di Harwa – o meglio, la
statua del corpo – scende ancor più nelle viscere della terra, e
termina il suo cammino nella cella. L’anima invece comincia il viaggio a
ritroso lungo il lato nord, al seguito di Anubi: divenuto impalpabile e
perduti oramai i segni della vecchiaia, ora Harwa è raffigurato come un
giovane nel pieno del suo vigore che, a poco a poco, acquista un nuovo
corpo eterno. Compie un viaggio nei cieli, al termine del quale risorge
definitivamente a nuova vita.
Sembra un viaggio iniziatico, quello
raffigurato nella tomba di Harwa, e Tiradritti rileva precise
similitudini tra i testi della parete nord e l’iniziazione di Lucio nel
romanzo L’Asino d’oro dello scrittore-filosofo-mago Apuleio di Madaura
(125-170 d.C.). Iniziazione, non a caso, al culto della dea egizia
Iside. Sia Harwa che Lucio, infatti, compiono un viaggio che li porta a
conoscere l’indicibile e accedere così a una nuova esistenza: per Harwa
questa è reale, per Lucio è ideale, ma il senso pare il medesimo.
Quando
ha preso piede l’idea di resurrezione nell’Egitto antico? È innovazione
dell’età di Harwa? Un’età finora considerata “buia” ma che, anche
grazie alla delicatezza e vitalità dei rilievi di questa tomba, si
rivela sempre più come un vero “rinascimento”. Dunque è possibile che
abbia anche partorito idee nuove. Oppure l’idea si è fatta strada prima?
E quando? Quale evoluzione concettuale ha portato gli egiziani dal
costruire enormi piramidi di incorruttibile pietra per continuare a
vivere nell’aldilà, al concepire un’anima impalpabile che sa abbandonare
il proprio corpo e rinascere poi a nuova vita? Se ne discuterà forse
per anni e anni a venire. Ma forse un indizio già c’è, come rivela
Tiradritti, ed è proprio nel famoso Libro dei Morti egiziano, una
raccolta di composizioni elaborate a partire dal Nuovo Regno: il suo
titolo reale è Libro per uscire al Giorno.