domenica 11 dicembre 2016

Il Sole Domenica 11.12.16
Epistemologia
So di non sapere: pratica e teoria
di Nicla Vassallo

Qualcosa deve essere accaduto. Ed è bene prenderne atto. Negli ultimi tempi, si è fatta impressionante la crescita degli studi in inglese sulla conoscenza. Forse, perché, come sostiene J.W Goethe, «nulla è più terribile di un’ignoranza attiva», e tale ignoranza sta dilagando, al punto che, senza provare alcuna vergogna, ce se ne vanta, e la si scorge ovunque, con concreti effetti deleteri in ogni luogo del mondo, in ogni società e azione, in quasi ogni essere umano. Si sta così creando una ristretta élite di pochi che coltivano la conoscenza, mentre la “massa” si riversa nella brutale ignoranza. Ed è la massa che, infine, conduce l’ignoranza al potere, decretando al contempo il potere di un’ignoranza, ben distaccata dal consapevole «sapere di non sapere», massa che, palesemente, non ha cognizione di Eric Ambler, e del suo «non provare mai a fingerti migliore di quello che sei».
Si tratta di una sorte effettiva, che, come attestano da qualche anno fatti e eventi, ha ricadute esasperanti, nonché sconcertanti, ricadute attribuite erroneamente dall’opinione pubblica ad altre cause, solitamente al malcostume etico di troppi/e. Eppure, se non conosciamo i principi etici, o non possiamo conoscerli, come si riesce a impiegarli in intenzioni e azioni?
O vitae philosophia dux, andava dicendo Cicerone. Che la filosofia, e in particolare la filosofia della conoscenza, costituisca tutt’ora la guida della vita dovrebbe essere pure noto ai non filosofi. In ogni caso, tale guida appare ora in molteplici volumi, pubblicati di recente o in via di pubblicazione. D’accordo, non ci troviamo al cospetto di volumi sempre “facili e semplici”, a cui tutti/e hanno o desiderano aver accesso: meglio sul serio dedicare il proprio tempo a tutt’altro?
Eppure citare qualche titolo di case editrici di rilievo risulta di giovamento. Prendiamo, per esempio e non a caso, la prestigiosa Oxford University Press, le cui radici risalgono a parecchi secoli orsono. Tra le sue ultime pubblicazioni, si trovano: Intellectual Assurance: Essays on Traditional Epistemic Internalism a cura di Brett Coppenger e Michael Bergmann, testo a più voci, che valuta e rivaluta, con fare critico, il classico internalismo cartesiano, considerando, in termini contemporanei, la natura delle nostre credenze, giustificate in senso inferenziale e non inferenziale, per affrontare infine le modalità migliori con cui confrontarsi con lo scetticismo; Epistemic Contestualism: A Defense di Peter Bauman, in cui, tra le varie proposte innovative, emerge quella di legare la contestualizzazione della conoscenza alla responsabilità, e dunque induce a domandarsi la ragione per cui la responsabilità oggi conti di fatto ben poco; ad affiancarlo, Cognition, Content, and the A priori di Robert Hanna, che, tra l’altro, pone in relazione conoscenza e mente, mente che appartiene agli enti inosservabili e per cui la filosofia che la riguarda permane sempre in costante discussione; l’handbook, che rasenta le mille pagine (chi nel nostro paese oserebbe pubblicarlo?), Philosophy of Perception, a cura di Mohan Matthen, risulta accessibile ai più, e non farebbe certo male a coloro che hanno optato per professioni (dallo sport all’arte e via dicendo), in cui la fonte conoscitiva percettiva gioca un ruolo di rilievo; lo stesso vale per Performance Epistemology, curato da Miguel Ángel Fernàndez Vargas, in cui la valutazione epistemica, tipicamente normativa, viene auspicata in ogni settore ove compaiano persone, le cui prestazioni debbono possedere scopi peculiari; altro tema, di non poco interesse, viene affrontato da Richard Pettigrew, in Accurancy and the Laws of Credence: eccelso per quanto riguarda la discussione sulla fonte conoscitiva della razionalità induttiva – ognuno di noi dovrebbe, se non vero e proprio analfabeta, comprendere i problemi della teoria della probabilità, nonché quelli interconnessi dell’indifferenza.
Quali relazioni intrattiene davvero la filosofia della conoscenza con la filosofia dell’azione? Ci viene ben argomentato da Berislav Marusic in Evidence & Agency, in cui il punto principale consiste (l’ignorante spesso non se ne cura) nelle evidenze epistemiche da prendere in considerazione quando si progettano o si compiono determinate azioni. Tali evidenze e azioni si riversano inevitabilmente – a tratti instabilmente, a tratti stabilmente – sulla massa (gruppi di ricerca scientifica o criminologica, decisioni dei tribunali, capacità di votare in modo sensato, delitti, atti terroristici, e via dicendo, senza poi andare a indagare il nostro privato).
L’urgenza di conoscenza, recepita in lingua inglese, viene afferrata con salienza, pure da editrici minori, rispetto alla fama della Oxford University Press, quali, per esempio, dalla Bloomsbury, con due volumi:A Critical Introduction to Formal Epistemology di Darren Bradley e Philosophy and Simulation: The Emergence of Synthetic Reason di Manuel DeLanda, da cui emerge un materiale, senz’altro utile contro l’ignoranza incensata.
Poche parole, benché ben di più ne meriterebbe, su ciò che Routledge, altro grande nome, ora da tempo nel Taylor & Francis Group, ha fatto uscire o pubblicherà a breve: Respecting Truth: Willful Ignorance in the Internet Age di Lee Mcintyre, volume di rilievo per coloro che “investono”, seppur di già famosi, su internet da grulli/e, con i mezzi più disparati, senza domandarsi cosa sia la verità e dove la si trovi. Come raccomandano nel volume, a loro cura, Chrisolula Andreou e Sergio Tenenbaum, Belief, Action, and Rationality over Time, se, da una parte, non dobbiamo dimenticare la razionalità pratica, dall’altra tralasciare quella teorica costituirebbe un grave errore, e ciò vale anche nell’internet age.
Questa sorta di “lotta” filosofica contro l’ignoranza sta, per buona sorte, emergendo altresì nel nostro paese. Ne rappresenta un modello eclatante e corposo Epistemologia, il volume di Robert Audi, (sempre Routledge, se mal non ricordo), ora in traduzione italiana grazie a Quolibet, casa editrice coraggiosa, che mostra apertamente quanto anche da noi debba contare la conoscenza. E Audi nel volume ci dona un’introduzione solida alla teoria della conoscenza, quale campo superbo e, più che mai da coltivare, oltre a causa di un’ignoranza generalizzata, al fine di comprendere le relazioni dell’epistemologia con altri settori della filosofia, donandoci la chiave per oltrepassare le nostre troppe divisioni, illusioni e allucinazioni.
Considerato quanto accade nel privato e nel pubblico, la nostra umiliata élite intellettuale dovrebbe mostrare segni di imponenti ribellioni conoscitive, rispetto a coloro che fanno e non sanno, oppure, peggio ancora, che immaginano di saper fare e immaginano di saperne parlare. In effetti, è di già a questa élite che si deve l’impressionante esigenza di filosofia conoscenza.