Il Sole Domenica 11.12.16
Prima del ventennio
Lo scolaro Benito sui libri di Storia
Una
riflessione sul modo migliore di insegnare questa materia in un tema
del Mussolini adolescente: per il quale però non divenne maestra di vita
di Emilio Gentile
Uno
scolaro non ancora diciassettenne, svolgendo il 14 aprile 1900 un
compito di pedagogia sul testo di storia per la scuola elementare, si
domandava: «Quale è la storia che abbisogna alle moltitudini? Come darle
fondamento nella cultura scolastica? Come poterla far comprendere ai
ragazzi?». Lo scolaro deplorava che l’insegnamento della storia, nel
momento in cui la didattica «aveva fatto passi giganteschi verso la
modernità», fosse fatto ancora attraverso il «dettato storico», con un
«sovraccarico dannoso alla memorazione logica». Invece, sosteneva lo
scolaro, il testo di storia non deve «contenere molte date e molti nomi,
cose che si dimenticano presto», ma «schizzi storico-geografici che
rendan chiaro al fanciullo come si svolsero i fatti». E gli educatori
che «veramente sentono l’importanza della loro missione, devono servirsi
della storia anche come talismano didattico» per «suscitare e
nobilitare il sentimento»; il maestro deve far apparire occasionali le
lezioni di storia, e nell’esporle «il suo timbro di voce deve essere
bello e conquidente, la sua movenza aggraziata, il suo gesto
appropriato. Deve saper rinnovare la scena storica davanti agli occhi
della scolaresca, e se qualche brano gli sfugge che non sia capito dagli
allievi il danno è minimo, purché riesca a commuovere, ad ammirare
(sic!), ad affascinare. Una commemorazione, un anniversario possono
fornire argomento al maestro per una lezione di storia, tanto più
proficua perché d’attualità ed i fanciulli lo ascolteranno con amore se
ne avranno sentito parlare». «Solo operando come io ho espresso in
questo scritto - concludeva lo scolaro con ammonitrice sicumera - la
storia avrà efficacia nelle scuole del popolo».
Lo scolaro era
Benito Mussolini. Il suo compito di pedagogia è stato recentemente
riesumato da Paola S. Salvatori, studiosa del culto fascista della
romanità, per introdurre un saggio su Mussolini e la storia, che getta
luce su un aspetto importante dell’ideologia mussoliniana, anche se
l’indagine è limitata agli anni dalla militanza socialista alla
conquista del potere, e all’analisi di tre temi, illustrati in
successione: la Roma antica, la Francia rivoluzionaria, il Risorgimento,
dalla Grande Guerra alla marcia su Roma.
Da socialista, da
interventista e infine da fascista, negli scritti e nei discorsi
Mussolini si richiamò spesso alla storia per sostenere le sue posizioni e
le sue scelte, quasi applicando da politico i precetti che aveva
consigliato da scolaro. «La storia mi serve» per «creare la coscienza
antiguerresca che oggi manca»: «La storia mi dice che le guerre sono il
disastro delle nazioni», così scriveva nel 1912, opponendosi alla guerra
di Libia, il giovane socialista quell’anno assurto improvvisamente, a
capo prestigioso nel partito socialista.
Mussolini ebbe per la
storia una curiosità costante e tutt’altro che superficiale. Come
documenta Salvatori, «l’uso della storia in Mussolini non rappresentò
mai un casuale e formale esercizio oratorio, ma fu sempre strettamente
legato a intenzioni e momenti della sua riflessione politica, sociale,
economica». I riferimenti storici mussoliniani furono però sempre
intrecciati con la sua politica, e in tale intreccio vanno studiati, nel
concreto, diremmo quotidiano, svolgimento dell’azione mussoliniana.
Perciò, opportunamente, la studiosa critica la propensione di taluni
studiosi, soprattutto anglosassoni, a interpretare l’ideologia
mussoliniana attraverso «un’estrema concettualizzazione e teorizzazione
filosofica», che finisce con l’oscillare in una «una polarizzazione
interpretativa comunque confusa».
Vi è tuttavia da osservare che
anche la studiosa italiana incorre in una concettualizzazione tutt’altro
che convincente, quando attribuisce a Mussolini una «visione
teleologica» della storia, che sarebbe rimasta invariata dai giovanili
anni socialisti fin dentro gli anni del regime fascista. Con
accostamenti alquanto sbrigativi fra i riferimenti storici del Mussolini
socialista, e interventista con quelli del fascista negli anni Venti,
Trenta e Quaranta, la studiosa ritiene che vi sia stata «una linea di
continuità tra il giovane e socialista Mussolini e quello che sarebbe
stato il duce del fascismo», rintracciando atteggiamenti fascisti
addirittura nel compito scolastico del 1900. Siffatti accostamenti,
piuttosto che dimostrare tale continuità, lasciano emergere
un’interpretazione teleologica retrospettiva della visione mussoliniana
della storia, che in realtà, nei momenti cruciali della sua politica, fu
condizionata da circostanze nazionali e internazionali del tutto
impreviste, tali da costringerlo a scelte altrettanto impreviste, come
accadde con la conversione mussoliniana all’interventismo, e di nuovo
alla fine della Grande Guerra e negli anni del primo fascismo, quando
Mussolini agiva senza una prospettiva e una meta ancora definite. In tal
senso, non si può neppure sostenere l’identificazione dell’ideologia
del Mussolini interventista con il nazionalismo di Enrico Corradini, che
invece fu bersaglio di strali polemici mussoliniani fino al 1918, e
oltre.
Al di là di queste osservazioni, il saggio della Salvatori
ha avviato un’indagine che merita di essere proseguita, allargandola a
temi storici altrettanto importanti nella vicenda politica mussoliniana,
come la storia del socialismo e del marxismo, la storia italiana ed
europea nell’età dell’imperialismo, e soprattutto la «storia dei dieci
anni», per dirla col titolo di un libro di Arturo Labriola apprezzato da
Mussolini, cioè la storia d’Italia durante l’egemonia politica di
Giovanni Giolitti, che fu per il Mussolini socialista e per
l’interventista (un po’ meno per il fascista) il principale nemico. Ma
anche per queste auspicabili ulteriori indagini, converrà aver presente
che una visione teleologica non si concilia con la convinzione
mussoliniana della imprevedibilità della storia: «La storia – scriveva
nel gennaio 1913 – è piena dell’imprevisto e nessuno …. può tracciare o
ipotecare la strada dell’avvenire». E un mese dopo ribadiva: «La storia è
piena dell’imprevisto e presenta d’improvviso delle situazioni
rivoluzionarie». E di nuovo, alla fine del 1913: «Poiché la storia –
checché si possa dire in contrario - non si ripete ma presenta sempre
nuove situazioni di fatto e nuovi problemi, è necessario non
abbandonarsi ai facili entusiasmi cui seguono immancabilmente le
dolorose sorprese».
Paola S. Salvatori, Mussolini e la storia. Dal socialismo al fascismo (1900-1922) , Viella, Roma, pagg 21, € 27