Corriere 11.12.16
Così si è appannata la memoria storica
di Giovanni Belardelli
In
un distretto scolastico della Virginia, informava il Washington Post
all’inizio di dicembre, si sta esaminando la possibilità di vietare la
lettura di Huckleberry Finn di Mark Twain e del Buio oltre la siepe di
Harper Lee, perché entrambi — secondo le proteste di un genitore — usano
frequentemente la parola «negro». Si noti, ciò che viene imputato ai
due libri non è di veicolare un’ideologia razzista (è vero semmai il
contrario), bensì il fatto di impiegare una parola che viene utilizzata
da personaggi dei due romanzi. Da Stati Uniti e Gran Bretagna ci
giungono costantemente notizie di episodi analoghi, che spesso si
verificano all’interno di istituzioni culturali prestigiose. All’inizio
dell’anno a Oxford si sono svolte manifestazioni studentesche che
chiedevano di abbattere la statua di Cecil Rhodes, campeggiante sulla
facciata dell’Oriel College: l’effigie di uno dei grandi finanziatori di
quell’università, ma anche protagonista dell’espansione britannica in
Africa, andava considerata non come una testimonianza storica ma come
un’apologia del colonialismo. L’estate scorsa, a Yale, un gruppo di
studenti ha fatto circolare una petizione che chiedeva la soppressione
del corso sui grandi poeti inglesi perché costringe a leggere «solo
autori maschi bianchi», ignorando i contributi letterari «di donne,
gente di colore e galassia queer». Sempre negli Usa si continua a
discutere dell’abolizione del Columbus day; la giornata del 13 ottobre
peraltro è stata già cancellata in molti Stati perché il suo
protagonista viene considerato non come lo scopritore dell’America,
bensì come il primo responsabile del genocidio delle popolazioni
indigene del continente.
Ad accomunare episodi come quelli appena
citati sta evidentemente la difficoltà sempre maggiore a percepire la
distanza tra il presente e il passato; con un vero e proprio
cortocircuito per cui ogni epoca storica è ormai valutata sulla base
delle nostre idee e dei nostri valori e non delle idee e dei valori dei
contemporanei. Ciò ha esiti evidentemente paradossali, come quello di
considerare Cristoforo Colombo alla stregua di Adolf Hitler. Ma possiamo
limitarci a sorridere, di fronte a queste testimonianze della perdita
della dimensione storica, considerandole una peculiarità del mondo
anglosassone? Certe proteste, come quella di Yale contro i «poeti
bianchi», nascono anche dal carattere multietnico della società
americana, dalla presenza di una componente di essa che ha
effettivamente difficoltà anche solo a leggere come i neri erano
trattati fino a non molto tempo fa. Cose analoghe valgono probabilmente
per luoghi non meno multietnici come le università inglesi: lo studente
che diede il via al movimento «Rhodes must fall» (Rhodes, cioè la sua
statua, deve cadere) era del resto di colore.
Proprio questo fatto
deve indurci a ritenere che l’Europa continentale, che per solito
guarda quasi divertita a episodi come quelli riportati, non possa
considerarsi del tutto immunizzata. Pensiamo alle discussioni su come si
debba insegnare l’esperienza coloniale, che hanno diviso l’opinione
pubblica francese negli ultimi anni; discussioni che, con il crescere di
un’immigrazione non europea, potrebbero manifestarsi anche altrove.
Ma
in Italia e in altri Paesi europei l’appiattimento del passato sul
presente, dunque l’appannarsi della dimensione storica, sembrano seguire
un’altra via. Per quanto possa apparire a prima vista paradossale,
questa via ha a che fare con quel culto della memoria che da almeno un
paio di decenni sembra ossessionare le democrazie contemporanee.
L’insistenza
sul dovere della memoria, sancito da una nutrita serie di date
celebrative, potrebbe sembrare un modo per ripristinare quel rapporto
con il passato che oggi si è fatto, per varie ragioni, difficile. Ma non
è così. Infatti il passato che siamo tenuti a non abbandonare all’oblio
— lo ha osservato Alain Finkielkraut — «è un passato semplicemente
inassumibile». Dopo la Shoah — vertice del «secolo degli stermini» — ci
viene chiesto di ricordare il nostro passato ma soltanto per
condannarlo. Che si tratti dello sterminio degli ebrei, del
colonialismo, del genocidio degli armeni o delle foibe, sono sempre gli
orrori che vanno ricordati.
È una via diversa da quella
anglosassone, questa, ma che rischia di portare a risultati analoghi: a
un annullamento del passato, letto tutto alla luce degli obblighi e
delle ingiunzioni del presente .