Il Sole 9.12.16
Il partito «sotterraneo» del 2018
di Lina Palmerini
In
questi giorni di consultazioni, la maggioranza delle forze politiche
che sfilerà al Quirinale metterà sul tavolo il voto anticipato. Nessuno,
cioè, azzarderà la richiesta di un governo di legislatura, fino al
2018, anche se tutti lo vogliono. E non solo per la ragione dei 4 anni e
sei mesi dopo i quali scatta la pensione dei neo-eletti ma perché
nessun partito è davvero pronto all’avventura elettorale. È spaccato il
Pd che, infatti, sta lasciando solo Renzi ma non sono pronte anche le
opposizioni da Forza Italia alla Lega a 5 Stelle.
Non sono solo
ragioni politiche quelle che frenano una corsa verso le urne a
primavera, ci sono anche ragioni tecnico-parlamentari. Al Quirinale, per
esempio, si ritiene un “compito” delle Camere assumere la
responsabilità di scrivere le regole elettorali. E non lasciare che sia
la Consulta - come molti vorrebbero invocando una sentenza
auto-applicativa - a decidere con quale sistema andranno a votare gli
italiani ma che siano i partiti e un voto del Parlamento a ridisegnare
Italicum e Consultellum. Quella di Sergio Mattarella non è certo
un'imposizione ma è un punto di vista che esporrà nei suoi colloqui di
questi giorni. Questo vuol dire che se la Corte deciderà per fine
gennaio, non basterà qualche settimana per mettere d'accordo la
maggioranza – magari allargando il perimetro a Forza Italia – ma servirà
qualche mese. Nel frattempo ci sono scadenze economiche - banche e
manovra correttiva - e internazionali come le celebrazioni dei Trattati
Ue a Roma e il G7 che si svolgerà a Taormina a fine maggio. Appuntamenti
che richiederebbero un Governo pienamente in carica e non una campagna
elettorale.
La finestra utile finisce per essere quella di giugno.
Se si chiude quella non ce ne sono altre, si arriva al 2018. Anche se
molti sostengono, perfino in ambienti vicini al Colle, che ottobre possa
essere una scadenza elettorale – in realtà – non lo è perché è il mese
in cui prende forma la legge di stabilità. Si scavalla l'anno, insomma, e
si arriva dritti a gennaio/febbraio 2018. Questi sono i calcoli che
hanno sotto gli occhi i leader e i parlamentari. Non solo i giovani che
attendono i 4 anni e sei mesi per prendere mille euro a 65 anni ma
soprattutto i senior, già dotati di vitalizio, che temono di non essere
ricandidati al prossimo giro. E quindi frenano, fanno pressione sui
segretari.
Una tattica che risponde anche a esigenze politiche dei
partiti. Difficile che Forza Italia e Silvio Berlusconi possano
desiderare le urne subito. Non sono preparati. Non c'è un leader oltre
il Cavaliere – che non è candidabile – e sono spaccati sull'affidarsi a
Matteo Salvini. Questioni che è difficile risolvere in un paio di mesi
anche per la Lega. E i 5 Stelle, nonostante la legittima richiesta di
urne dopo aver vinto il referendum, hanno ancora divisioni da risolvere
sulla premiership e un importante problema di squadra che hanno già
sperimentato su Roma.
Il tema, però, tocca soprattutto il Pd. Che
deve fare bene i suoi calcoli anche oltre Matteo Renzi nonostante appaia
più isolato. Perché se il partito chiederà al segretario un governo
dovrà chiarirsi bene con quale durata. Un conto è puntare a giugno, un
conto al 2018. Nel senso che la durata è dirimente per il profilo
dell'Esecutivo: se deve durare fino a giugno con lo scopo della legge
elettorale può tenere lo stesso profilo dell'attuale ma se si guarda
alla fine della legislatura cambia tutto. Lo “scopo” dovrà andare più in
là, bisogna dotarsi di un vero premier e di una vera squadra per
riallacciare un rapporto con il Paese altrimenti il rischio è che si
perdano ancora voti come accadde dopo l'esperienza Monti. Il bivio,
insomma, non è solo di Renzi ma anche dei giovani ministri, Andrea
Orlando, Maurizio Martina e dei dirigenti come Matteo Orfini a cui
potrebbe non bastare la “riserva” che può regalare un sistema
proporzionale.