Corriere 9.12.16
Un esecutivo che andrà oltre la riforma elettorale
di Massimo Franco
Per
paradosso, anche dopo le dimissioni sono tutti in attesa di Matteo
Renzi. Aspettano di capire se la sua voglia di rimanere a Palazzo Chigi
prevarrà sull’impulso a gettare la spugna espresso dopo la batosta
referendaria del 4 dicembre: perfino a costo di perdere credibilità e di
apparire un leader capriccioso che si contraddice a distanza di una
settimana. Quella che sembra certa è la determinazione di Sergio
Mattarella a chiudere la crisi entro domenica sera, al massimo lunedì: o
rinviando Renzi in Parlamento dopo avere respinto la sua «intenzione di
dimettersi»; o indicando un altro candidato a succedergli. Il 15
dicembre è in programma un vertice del Consiglio d’Europa, e l’Italia
vuole presentarsi all’appuntamento senza la medaglia della precarietà.
Il
messaggio da consegnare agli alleati continentali è che il trauma di
quel voto è già stato riassorbito, come hanno segnalato i mercati
finanziari; e che viene garantita la continuità della politica estera,
possibilmente con Renzi. Il secondo messaggio che comincia a affiorare
nelle consultazioni del capo dello Stato cominciate ieri pomeriggio, è
che non si andrà alle urne presto: certo non in maniera affrettata.
Tutti gli scenari di scioglimento-lampo ipotizzati in queste ore nella
cerchia renziana, nel Ncd, nella Lega e nel M5S, sono considerati
infondati. Senza prima una legge elettorale vera, Mattarella non
scioglie.
Significa che Camera e Senato, entrambi pienamente
legittimati dopo il referendum, dovranno avere un sistema di voto che
non crei scompensi e conflitti tra maggioranze diverse. Non solo. Da
quanto si intuisce, il prossimo governo non potrà limitarsi a un
argomento «freddo» come la legge elettorale. Dovrà riprendere a
affrontare in parallelo le emergenze sociali: temi trascurati in questi
mesi per concentrarsi su riforme costituzionali respinte dal popolo.
Sembra che ieri, nel colloquio con Mattarella lo stesso presidente del
Senato, Pietro Grasso, abbia chiesto di riprendere la discussione di
provvedimenti bloccati a Palazzo Madama per colpa del referendum.
Ma
il primo a dovere capire che la legislatura finisce solo se non si
compiono certi passaggi, è il premier dimissionario. Le parole
irresponsabili usate a caldo da alcuni esponenti del Pd renziano e del
Ncd, simili a quelle delle opposizioni, andranno ricalibrate. Da quanto
si capisce, i toni di Renzi alla Direzione del Pd sono piaciuti soltanto
ai tifosi più accesi. Può darsi che le ore passate in famiglia lo
aiutino a elaborare meglio il lutto della sconfitta. Il dilemma è che o
accetta di andare avanti, o dovrà cedere il passo a un nuovo presidente
del Consiglio: prospettiva che Renzi vede come un incubo. Sarebbe una
strana nemesi: da fautore del «no» al galleggiamento e del «sì» a
orgogliose dimissioni e al voto subito, diventerebbe un premier battuto
costretto a rimanere per garantire la continuazione della legislatura.