Il Sole 6.12.16
Focus. Il verdetto entro febbraio
Parola alla Consulta: l’esigenza di garantire due sistemi coerenti
di Donatella Stasio
ROMA
 In settimana la Consulta deciderà quando fissare l’udienza sulla 
legittimità costituzionale, la legge elettorale destinata, nelle 
intenzioni del Governo, a fare pendant con la riforma costituzionale 
appena bocciata dal voto referendario di domenica. Formalmente, la 
decisione spetta al presidente Paolo Grossi, che però è sempre stato 
rispettoso della collegialità in presenza di questioni delicate come 
questa, che fra l’altro si intreccia con la volontà politica - per ora 
solo annunciata - di rimettere mano a quella legge nel più breve tempo 
possibile. È probabile che l’udienza venga fissata tra la fine di 
gennaio e i primi di febbraio, com’era stato già ipotizzato il 19 
settembre scorso in occasione del «rinvio a nuovo ruolo» (cioè a data da
 destinarsi) dell’udienza all’epoca prevista per il 4 ottobre. Anche se 
il calendario delle udienze è già tutto impegnato fino a marzo 2017, il 
presidente potrebbe ritagliare uno spazio per discutere le tre ordinanze
 contro l’Italicum giunte finora a Palazzo della Consulta dai Tribunali 
di Messina, Torino e Perugia(una quarta, del Tribunale di Genova, è in 
arrivo). D’altra parte, la Corte è già pronta per prendere una decisione
 nel merito.
La data dell’udienza di discussione (e quindi del 
verdetto) potrebbe essere comunicata con una nota stampa. Grossi ne 
parlerà prima con il relatore, il costituzionalista Nicolò Zanon, e poi 
con gli altri giudici (attualmente sono 14, a causa delle dimissioni per
 motivi di salute di Giuseppe Frigo). Per la verità, l’occasione per 
farlo si è presentata già ieri, visto che nel pomeriggio la Corte si è 
riunita per leggere e approvare una serie di sentenze, ma l’argomento 
non è stato sfiorato. Oggi e domani, però, ci sono altre due camere di 
consiglio e quindi altrettante occasioni per decidere o essere informati
 della decisione del Presidente. Nel frattempo, forse sarà più chiaro il
 quadro politico almeno dei prossimi giorni.
L’udienza 
sull’Italicum era stata fissata, inizialmente, per il 4 ottobre, sul 
presupposto che il referendum si sarebbe svolto prima. Lo slittamento 
della consultazione popolare aveva indotto però la Corte a rinviare la 
sua decisione ad un momento successivo, per la difficoltà di valutare al
 buio l’Italicum (il nuovo sistema elettorale della Camera), senza 
sapere quale sarebbe stato il sistema elettorale del Senato nell’ipotesi
 di vittoria del Sì o in quella di vittoria del No. Inoltre, a Palazzo 
della Consulta erano attese anche altre ordinanze, che si sarebbero 
aggiunte a quelle dei Tribunali di Messina e di Torino, dando un quadro 
più completo delle contestazioni. Peraltro, poiché già all’epoca si 
parlava di modificare l’Italicum, qualcuno era preoccupato che la 
pronuncia della Consulta, nelle more dell’iter parlamentare, fosse 
percepita come «interferenza». Un argomento, quest’ultimo, che in teoria
 potrebbe riproporsi anche stavolta sui tempi di decisione della Corte, 
sebbene privo di fondamento. Anzi: qualora Palazzo della Consulta 
dovesse bocciare l’Italicum lasciando in piedi - come nel 2014 con il 
Porcellum - un sistema elettorale comunque funzionante, questo potrebbe 
diventare un parametro di riferimento per il legislatore.
Le 
ordinanze all’esame della Consulta toccano punti cruciali (almeno 9) 
della nuova legge elettorale. Si va dalle liste dei candidati da 
presentare in 20 circoscrizioni elettorali suddivise in 100 collegi 
plurinominali, all’attribuzione dei seggi su base nazionale «con il 
metodo del quoziente intero e dei più alti resti»; dalla soglia di 
sbarramento al 3%, al premio di maggioranza e all’ipotesi di 
ballottaggio. La Corte deve poi valutare se vi sia una violazione dei 
principi costituzionali nel blocco misto di liste e candidature: 
l’Italicum è stato impugnato, infatti, anche là dove prevede che «sono 
proclamati eletti, fino a concorrenza dei seggi che spettano a ciascuna 
lista in ogni circoscrizione, dapprima i capilista nei collegi, quindi i
 candidati che hanno ottenuto il numero di preferenze». Un’altra 
disposizione nel mirino è quella che attribuisce al capolista eletto in 
più collegi plurinominali la facoltà di compiere liberamente la sua 
opzione, nonché quella che prevede l’applicazione delle nuove norme 
sull’elezione della Camera dei deputati a partire dal 1° luglio 2016. Il
 Tribunale di Messina, poi, contesta anche un punto di ciò che resta del
 Porcellum dopo la bocciatura della Corte, cioè la soglia di sbarramento
 per il Senato, più elevata rispetto a quella prevista per la Camera.
Tutte
 queste questioni potranno ora essere discusse in udienza, davanti alla 
Consulta, alla luce del risultato referendario, e quindi in funzione del
 sistema elettorale applicabile al Senato, che allo stato è il 
cosiddetto Consultellum, cioè quel che resta del Porcellum. L’esigenza è
 anche quella di garantire due leggi elettorali uniformi (per Camera e 
Senato), senza le quali verrebbe meno la governabilità.
 
