domenica 4 dicembre 2016

Il Sole 4.12.16
La reazione. Nella nota di protesta il governo cinese invita Washington a «evitare scossoni inutili alle relazioni»
Pechino ha sottovalutato l’impatto del nuovo corso
di Rita Fatiguso

PECHINO La gaffe diplomatica era nell’aria, e prima o poi sarebbe arrivata a destinazione. Qualcuno, però, adesso spieghi al presidente Usa eletto (ma non ancora insediato) Donald Trump che, prima di rispondere al telefono, è necessario capire chi parla dall’altro lato della cornetta e, soprattutto, quali sono le ragioni della chiamata. Perché certe telefonate possono essere letali per l’ordine globale, specie se il leader della prima potenza mondiale ne sottovaluta, colpevolmente, la portata politica.
È toccato a Taiwan, uno dei dossier più scottanti sul tavolo di Donald Trump nei rapporti con la Cina e più in generale con l’area dell’Asia Pacifico, di aprire le danze dell’immaturità politica dello staff del nuovo presidente, un uomo d’affari al quale, per la prima volta, tocca di muoversi da politico su mandato dei milioni americani che l’hanno eletto alla Casa Bianca.
Se la telefonata di congratulazioni per l’elezione, infatti, arriva – come è arrivata ieri - dalla presidente di Taiwan, Tsai Ying-wen, la leader del Partito democratico già profondamente invisa al Governo di Pechino che l’accusa, tra l’altro, di non aver citato nell’insediamento del 16 maggio scorso il principio dell’unità sacrosanta della Cina, è evidente che dietro tutto ciò c’è l’ansia di riallacciare relazioni più solide con Washington rispetto alla politica stop-and-go del predecessore Barack Obama.
Un’ansia che ha portato alla rottura del protocollo si-fa-ma-non-si-dice che tra Washington e Taipei regge dal lontano 1979, anno in cui gli Usa hanno rotto ufficialmente con Taiwan.
È difficile immaginare che qualcuno abbia spiegato a Donald Trump che si trattava della prima telefonata di questo tipo resa pubblica in un momento in cui, peraltro, sui rapporti tra Taipei e Pechino è già calato il gelo.
Sull’episodio si è abbattuta prontamente la scura di Pechino impugnata dal portavoce degli Esteri cinese Geng Shuang. Dopo il contatto telefonico tra Trump e la presidente di Taiwan è arrivata la protesta formale.
Questa è solo l’ouverture, è la prima crisi internazionale che il presidente designato degli Stati Uniti si trova a dover gestire prima ancora di aver giurato. Parlando esplicitamente al telefono con Tsai Ying-wen, Trump ha ammesso l’esistenza di un’altra Cina oltre a Pechino, mandando in fumo decenni di diplomazia che invece avevano mantenuto comunque vivi i rapporti con la provincia ribelle.
«Il principio dell’unica Cina è un fatto generalmente riconosciuto dalla comunità internazionale» e la raccomandazione di Pechino all’amministrazione americana Usa che sta per insediarsi è quella di trattare «adeguatamente e con cautela» la questione Taiwan per prevenire «scossoni inutili alle relazioni tra Cina e Usa».
Poco elegantemente Trump, non appena ha colto l’entità della gaffe ha precisato che è stata Tsai ad alzare la cornetta per contattare Trump, ma la frittata è fatta, quei dieci minuti di telefonata che rischiano di mandare in rotta di collisione i rapporti tra i due colossi.
Il portavoce dell’ufficio presidenziale di Taipei, Alex Huang, ha ribadito che Taiwan vuole mantenere buoni rapporti sia con gli Stati Uniti sia con la Cina. I rapporti con Pechino e con Washington sono «ugualmente importanti ed entrambi sono di grande aiuto alla pace e alla stabilità nella Regione». La conversazione telefonica tra i due è stata preparata «attraverso i canali usuali tra le due parti», e ha aggiunto che la chiamata è partita da Taipei.
Questo episodio è anche un warning per Pechino, la Cina ha salutato con favore l’ascesa di Trump nell’illusione di poter gestire un candidato anomalo perché, appunto, non politico. Come si può notare, invece, l’eccesso di fiducia nei propri mezzi non coincide con le mosse di un neopresidente che quando spariglia lo fa per imperizia piuttosto che per calcolo politico, con quel che segue.