Il Sole 2.12.16
Inchieste. Sentenza Etruria, per Bankitalia «c’è comunque colpa»
Il confronto tra la sentenza della Corte di appello del tribunale civile di Roma e l’assoluzione del tribunale penale di Arezzo
di Sara Monaci
Non
trova tutti d’accordo l’assoluzione in primo grado, nel processo
relativo al reato di ostacolo alla vigilanza, nei confronti degli ex
vertici di Banca Etruria. In particolare, dietro le quinte, la Banca
d’Italia contrappone alla decisione del giudice aretino un altro
documento: le sanzioni amministrative che per gli stessi fatti sono
state comminate alle stesse persone a inizio 2016, con conferma in
appello lo scorso marzo. Da Palazzo Koch si sottolinea, di fatto, che
«se non c’è dolo, c’è comunque colpa».
La “diversa” sentenza civile
Nella
sentenza del tribunale civile della corte di appello di Roma, si legge
che «le condotte attive o omissive del presidente del consiglio di
amministrazione e del direttore generale sono state specificamente
evidenziate nel provvedimento». Per la giustizia civile dunque nessuno
sconto. L’appello fu fatto dall’ex presidente Giuseppe Fornasari, l’ex
dg Luca Bronchi e l’ex direttore centrale Davide Canestri per la
genericità nell’individuazione delle norme violate; la violazione del
diritto di difesa; l’assenza di dolo o colpa e per difetto di
motivazione. Nessuna di queste presunte irregolarità è stata accolta. A
pagina 8 del documento, il giudice civile della corte d’appello ricorda
che «i compiti del cda sono l’assunzione della responsabilità delle
scelte strategiche, l’approvazione delle politiche di gestione del
rischio...la definizione della struttura organizzativa, la definizione
di un sistema informativo completo e in grado di rilevare
tempestivamente l’effettiva situazione aziendale, la verifica periodica
dell’efficienza... l’adozione tempestiva delle misure necessarie nel
caso in cui emergano carenze o anomalie». Per Bankitalia e per il
giudice civile della corte d’appello «la gravità oggettiva è dipesa
dalla violazione dei propri obblighi», pur specificando che il giudizio
dipende non dalle valutazioni ex post delle scelte gestionali ma dalla
violazione delle norme di vigilanza.
L’opinione della difesa
Per
la difesa degli ex vertici - che notano come il convitato di pietra
della sentenza penale di primo grado sia la stessa Bankitalia (la quale
evidentemente, se non ha avuto ostacoli alla sua attività di vigilanza
potrebbe aver semplicemente vigilato con scarsa efficacia) - la
giustizia amministrativa e quella penale viaggiano su due binari
diversi. E non ha senso paragonarli. Ecco perché. Il reato di ostacolo
alla vigilanza, in base all’articolo 2638 del codice civile, ha uno
schema simile a quello del falso in bilancio, evidenziando le condotte
fraudolente finalizzate a rappresentazioni non fedeli, con comportamenti
che impediscono oggettivamente l’attività di controllo. Per quanto
riguarda invece gli aspetti amministrativi sollevati dalla Banca
d’Italia, la norma è più generica, con maggiori spazi di
interpretazioni. Ci si riferisce in questo caso più ad un ruolo
manageriale, senza prendere in considerazione gli elementi psicologici,
cioè la consapevolezza di commettere una violazione.
Inoltre nel
caso delle sanzioni amministrative non ci sono stati veri e propri
contraddittori, né utilizzo di consulenze. Quanto alla messa in atto di
«misure tempestive» per risolvere il problema, la difesa ha notato nel
tribunale di Arezzo quanto fosse «assurda» l’ipotesi di una fusione tra
Banca Etruria e Banca popolare di Vicenza per risolvere la crisi,
essendo entrambe in difficoltà.