il manifesto 2.12.16
5 dicembre, quella tentazione del voto subito che allarma i dem
di Andrea Colombo
ROMA
Se vince il No si dimette. Se vince il Sì pure. Questa è la tentazione
che negli ultimi giorni Renzi ha condiviso con il suo stato maggiore. Ha
seminato il panico nei gruppi parlamentari e molti dubbi nel partito.
Il senatore Marcucci, di solito ventriloquo di Renzi a palazzo Madama,
garantisce che l’idea c’è ma «minoritaria». Guerini, il vice Renzi,
esclude tassativamente. I parlamentari dem, per ogni evenienza, si
preparano a fare muro e insistono sull’obbligo di portare la legislatura
a scadenza naturale, fino al febbraio 2018.
Ufficialmente le
dimissioni di Renzi anche in caso di vittoria servirebbero a certificare
la fine della legislatura senza che questo comporti elezioni immediate.
Il premier uscente otterrebbe un nuovo incarico, con il mandato di
ritoccare in tre mesi l’Italicum e poi votare. Le modifiche all’attuale
legge elettorale, in quel caso, sarebbero minime. E’ però lecito
sospettare che l’obiettivo sia arrivare alle elezioni subito, senza
neppure modificare l’Italicum.
In entrambi i casi Renzi sarebbe
mosso dalla medesima tentazione: quella di spostare sul Pd il grosso dei
voti che prenderà il Sì. Se dopo il referendum si votasse a breve,
buona parte dei consensi per il Sì si trasferirebbero quasi
automaticamente a favore del partito di Renzi. Diventerebbe plausibile
persino il raggiungimento del 40% al primo turno, evitando quel
ballottaggio che la convergenza di tutti i rivali sul candidato
alternativo rende una trappola mortale. Questo tipo di incantesimi,
però, dura poco. Per capitalizzare i voti a favore del Sì bisogna che le
elezioni politiche si tengano entro 100 giorni o poco più.
Sulla
carta entrambe le strade, le elezioni subito dopo il varo della legge di
bilancio oppure due mesi dopo, con Italicum modificato, arriverebbero a
destinazione. Imbarcarsi in una revisione della legge elettorale con un
Parlamento che non ha nessuna voglia di tornare a casa anzitempo
potrebbe però rivelarsi pericoloso. Basterebbe far diventare quei tre
mesi quattro o cinque, senza contare la campagna elettorale, e il
momento magico sarebbe passato. Forzare con l’Italicum, puntando anche
sulla norma transitoria contenuta nella riforma che impone alla Corte
costituzionale di pronunciarsi entro un mese, sarebbe più sicuro. Se la
Consulta dovesse chiedere modifiche, basterebbe applicarle in automatico
per non perdere tempo.
Anche se sconfitto ma forte di una
percentuale superiore al 40% Renzi avrebbe ogni convenienza nel cercare
comunque di arrivare al voto subito. La vittoria del No renderebbe però
la missione quasi impossibile: bisognerebbe varare una legge per il
Senato e la sconfitta della riforma suonerebbe come bocciatura implicita
anche dell’Italicum. Il segretario sarebbe molto più debole nel Pd e
non potrebbe imporre la sua volontà senza incontrare grossi ostacoli.
Si
tratta ovviamente di calcoli a tavolino. La realtà, comunque vada a
finire domenica, presenterà un quadro diverso da quello immaginato nei
piani di battaglia. Ma di una cosa si può essere certi: se vincerà il No
seguirà un terremoto, se vincerà il Sì pure.