Corriere 2.12.16
La strategia del premier tra dimissioni e rilancio
di Massimo Franco
La
frase-chiave che incarna le preoccupazioni e la nuova strategia di
Matteo Renzi è: «Al referendum non si vota su di me o sul governo. Per
mandare a casa il governo ci sono le elezioni...». Parole ineccepibili.
Confermano il profondo ripensamento che il premier ha maturato in queste
settimane. Rispetto al Renzi che mesi fa annunciava l’abbandono di
Palazzo Chigi e perfino della politica in caso di sconfitta,
l’atteggiamento è cambiato. Si capisce: oggi la vittoria del Sì è meno
scontata di allora. Ma non solo.
Il segretario-premier comincia a
porsi il problema del «dopo». Cerca di tenere aperta sia la strada delle
dimissioni e di un eventuale reincarico, in caso di sconfitta; sia
quella di una resistenza a oltranza. L’unica cosa certa è che, anche
facendo un passo di lato, Renzi vuole dimostrare l’impossibilità di
qualunque coalizione senza il suo placet , o senza di lui come premier.
Se vince, sembra di capire, la resa dei conti con gli avversari, nel Pd e
fuori, sarà immediata. Se perde, lo scontro continuerà, con un
oggettivo indebolimento.
Il passaggio successivo si può solo
indovinare, lì dove Renzi spiega che la legge elettorale, l’Italicum, si
può cambiare «in tre o sei mesi»: periodo di tempo così breve da
consentire elezioni nel 2017. Se a questo si aggiunge il rifiuto di
mantenere l’incarico di fronte a un «accordicchio», come lo chiama, si
delinea una campagna elettorale in incubazione. Lo scenario dà per
scontata la tenuta del Pd; e un Quirinale rassegnato a sciogliere le
Camere: eventualità improbabile.
In realtà, nessuno può prevedere
quali sarebbero i margini di manovra di un governo sconfitto il 4
dicembre. Si può solo aspettare. E registrare la recrudescenza delle
polemiche: soprattutto tra il premier e Beppe Grillo, che lo accusa di
avere «mandato in pezzi l’economia» minaccia di denunciarlo perché
mentirebbe sul nuovo Senato. Il tema più controverso riguarda il voto
degli italiani all’estero. La maggioranza considera i sospetti un segno
di debolezza degli avversari. Movimento 5 Stelle e Lega, invece,
martellano sui possibili brogli: al punto che i seguaci di Grillo
annunciano l’invio di cento «controllori» per verificare lo spoglio.
Le
polemiche fanno pensare che il risultato sia ancora in bilico; e forse
deciso proprio da chi vota per corrispondenza. L’altro tema infuocato è
il contratto sbloccato dal governo ai dipendenti pubblici alla vigilia
del referendum: «una mancia elettorale», secondo le opposizioni. Che le
ultime ore possano risultare decisive è confermato dal capo leghista,
Matteo Salvini. «Non mi fido dei sondaggi», ammette. «È voto su voto».
Ma su uno sfondo nervoso e confuso che non aiuta gli elettori né a
capire né a decidere nel merito.