domenica 11 dicembre 2016

Il Sole 11.12.16
Due autobombe: almeno 15 morti
Gli attentati scuotono Istanbul nel giorno della riforma pro-Erdogan
di Alberto Negri

Nel giorno in cui Erdogan presentava in Parlamento la riforma costituzionale che elimina il premier e assegna pieni poteri al presidente, il cuore di Istanbul, è stato colpito da un pesantissimo attentato.
Due autobomba sono esplose intorno alle 20,40, una davanti allo stadio del Beskitas, in prossimità alla Vodafone Arena, a un’ora dalla fine di una partita con il Bursapor. Un primo bilancio parlava di una ventina di poliziotti feriti ma le notizie arrivano con difficoltà perché è stata imposta la censura sui media. Fonti della sicurezza parlavano comunque di 13 morti, Al Jazeera ne ha indicato almeno 15, mentre altre fonti non verificabili parlavano di 40 vittime. Le tv turche nella notte rilanciavano le immagini di due auto sventrate sulla curva che scende da Taksim verso lo stadio illuminato. Secondo testimonianze locali, le esplosioni sono state accompagnate da raffiche di arma da fuoco. Il presidente Turco Tayyip Erdogan in una dichiarazione ufficiale a tarda notte si è limitato a parlare di «martiri e feriti».
Nel corso della giornata le ambasciate straniere, tra cui quella italiana, avevano diramato l'allarme per un pericolo di attentato ad Ankara, la capitale. Il terrorismo, non si sa ancora di quale matrice, ha invece colpito ancora una volta la città sul Bosforo. L'ultimo grave attentato a Istanbul è stato il 28 giugno all'aeroporto Atatürk di Istanbul con 41 morti in un'azione di un commando kamikaze rivendicata dall'Isis.
Nell'ultimo anno la Turchia è stata colpita da una decina di grandi attentati rivendicati in alcuni casi dallo Stato islamico, dopo che la Turchia si è unita alla coalizione anti-jihadista, in altri attribuiti a gruppi radicali curdi in risposta ai bombardamenti del governo nelle regioni curde al confine con la Siria.
Difficile dire se ci sia un collegamento tra l'attentato e la presentazione della riforma costituzionale fortemente voluta da Erdogan per accentrare i poteri in mano al presidente. Questa settimana Erdogan aveva chiesto prima “oro alla patria” e di convertire i depositi in valuta in lire turca per sostenere una moneta che affonda e ieri metteva a segno il suo colpo da maestro presentando in Parlamento la riforma costituzionale; abolita la figura del primo ministro, il presidente, affiancato da due vice, avrà poteri sempre più ampi e per pervasivi sulla politica ma anche sulla vita quotidiana dei suoi concittadini.
La riforma dovrà passare con due terzi dei voti e poi essere sottoposta a referendum, forse già a marzo: dato il clima che si vive in Turchia, quella di un “uomo solo al comando”, appare improbabile che Erdogan faccia la fine del britannico Cameron o dell'italiano Renzi. Inoltre in Parlamento il partito di maggioranza Akp conta su 316 deputati e l'alleato Mhp, i Lupi Grigi dell'estrema desta, su altri 40: un numero di consensi sufficienti a superare la soglia dei 330 voti necessari.
Nonostante le difficoltà economiche e finanziarie, Erdogan sta mettendo politicamente a profitto un anno che poteva essergli fatale. Nell'era seguita al fallito colpo di stato del 15 luglio scorso prima ha fatto fuori migliaia di funzionari, militari, poliziotti, magistrati e giornalisti, sospettati di essere seguaci dell'imam Fetullah Gulen, e adesso punta a una repubblica presidenziale di cui lui dovrà essere il capo fino al 2023, anno del centenario dello stato fondato da Kemal Ataturk sulle ceneri dell'Impero Ottomano.
La concreta possibilità che Erdogan, rieletto nel 2014, ottenga ancora più poteri preoccupa parte dell'opinione pubblica turca e occidentale, così come i partiti di opposizione, i filo curdi dell'Hdp e i kemalisti del Chp, che denunciano gli eccessi autoritari di Erdogan. Il presidente, che controlla magistratura polizia ed esercito, ha fatto mettere in carcere una dozzina di deputati curdi tra cui il leader del partito Salhattin Demirtas.
Il rischio è quello di una “sultanizzazione” ma una parte importante e consistente dell'opinione pubblica conservatrice e ipernazionalista sostiene invece che un sistema fortemente presidenzialista è necessario per garantire la sicurezza della Turchia sotto attacco del terrorismo di matrice islamista e separatista curdo, e per affrontare la crisi economica. La svolta autocratica era prevedibile. Il sistema politico Akp modellato su schemi occidentali era un mezzo, non uno scopo: «La democrazia è un tram, va avanti fino a quando vogliamo noi e poi scendiamo» ha detto una volta Erdogan. Ed è quello che sta puntualmente accadendo in Turchia.