domenica 11 dicembre 2016

Il Sole 10.12.16
Rischio vitalizio per tutto il M5S e per due Pd su tre
di Andrea Marini

Nessuno lo dice apertamente (e se ne parla, lo fa sempre in riferimento alle altre forze politiche) ma il partito dei vitalizi, rigorosamente trasversale, esiste eccome. Chissà quale influenza potrà avere sul proseguimento o meno della legislatura, se tutti i parlamentari, cioè, alla prova dei fatti avranno intenzione di seguire le indicazioni dei propri leader e andare al voto il prima possibile. Sta di fatto che è già diventato terreno di scontro tra chi vuole andare al voto subito e chi no.
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Quasi due parlamentari su tre – 438 su 630 deputati (il 69,5%) e 191 su 315 senatori (il 60,6%) – sono alla prima esperienza nelle Camere, e questo significa che se il loro mandato durerà meno di 4 anni, sei mesi e un giorno non avranno diritto al vitalizio una volta raggiunti i 65 anni: per molti l’obiettivo, quindi, è far durare la legislatura almeno fino al 15 settembre 2017. A meno di non riuscire a farsi rieleggere per la prossima legislatura. In realtà i neoeletti a rischio vitalizio sono un po’ meno di 2 parlamentari su 3, e questo per effetto dei parlamentari subentrati ad altri colleghi che nel corso della legislatura si sono dimessi (come nel caso di chi ha lasciato le Camere per sedere all’Europarlamento dopo le europee del 2014). Per 13 deputati e 6 senatori neoeletti e subentrati ormai non c’è nulla da fare: anche se la legislatura arrivasse alla sua conclusione naturale non riuscirebbero mai ad accumulare i 4 anni, 6 mesi e un giorno di esperienza parlamentare. Mentre per altri 4 deputati e 3 senatori neoeletti e subentrati c’è ancora speranza nel caso si riuscisse a scavallare il 2017 e andare al voto nella primavera 2018, a scadenza naturale.
Una percentuale così alta di neoeletti ha sostanzialmente due cause: l’ingresso in Parlamento, nel 2013, di una forza totalmente nuova, il Movimento 5 Stelle; l’opera di ringiovanimento delle liste voluta dall’allora segretario Pd, Pier Luigi Bersani. Mentre sono tutti neoeletti i parlamentari 5 stelle, il Pd ha una percentuale pari al 69% alla Camera e al 62% al Senato. E questo dato è stato preso di mira dagli esponenti grillini. Alessandro Di Battista ha scritto un post su Facebook: «Dopo Monti, Letta e Renzi vogliamo un governo con la piena legittimità popolare. Il M5S vuole andare al voto il prima possibile. Ora capite perché non ci vogliono far votare?»; il riferimento è a una immagine allegata in cui si legge: «La pensione d’oro arriva dopo 4 anni di legislatura, e cioè a settembre 2017. Ecco perché non vogliono farti votare prima». Stesso argomento utilizzato dal deputato Danilo Toninelli: «Abbiano paura che questo parlamento vada avanti sino a fine legislatura, o magari arrivando ai 4 anni e mezzo e un giorno necessari per assicurarsi pensioni d’oro». Accuse a cui ha replicato così il deputato dem Umberto D’Ottavio: «Basta con i tentativi del M5S di far credere che i deputati Pd vogliono arrivare a ottobre per la pensione. Molti parlamentari Pd alla prima legislatura sono professionisti o dipendenti in aspettativa. Piuttosto si preoccupi di quei parlamentari 5 stelle che senza l’incarico di deputato o senatore tornerebbero disoccupati e che sperano che il Pd salvi loro la poltrona».
Tutta la questione nasce dalla riforma dei vitalizi del 2012, che ha introdotto il metodo del calcolo contributivo. L’ex parlamentare matura il diritto al vitalizio se ha svolto il mandato per almeno 5 anni (in realtà sono 4 anni, 6 mesi e un giorno per evitare che la pensione salti in caso di “scioglimento tecnico” delle Camere inferiore ai 5 anni esatti) al compimento di 65 anni. Per ogni mandato oltre il quinto, il requisito anagrafico è diminuito di un anno fino al minimo inderogabile di 60 anni.