Il Sole 10.12.16
Rischio vitalizio per tutto il M5S e per due Pd su tre
di Andrea Marini
Nessuno
lo dice apertamente (e se ne parla, lo fa sempre in riferimento alle
altre forze politiche) ma il partito dei vitalizi, rigorosamente
trasversale, esiste eccome. Chissà quale influenza potrà avere sul
proseguimento o meno della legislatura, se tutti i parlamentari, cioè,
alla prova dei fatti avranno intenzione di seguire le indicazioni dei
propri leader e andare al voto il prima possibile. Sta di fatto che è
già diventato terreno di scontro tra chi vuole andare al voto subito e
chi no.
Senza collegi e premio si torna al ’92: governo scelto solo dopo il voto
Quasi
due parlamentari su tre – 438 su 630 deputati (il 69,5%) e 191 su 315
senatori (il 60,6%) – sono alla prima esperienza nelle Camere, e questo
significa che se il loro mandato durerà meno di 4 anni, sei mesi e un
giorno non avranno diritto al vitalizio una volta raggiunti i 65 anni:
per molti l’obiettivo, quindi, è far durare la legislatura almeno fino
al 15 settembre 2017. A meno di non riuscire a farsi rieleggere per la
prossima legislatura. In realtà i neoeletti a rischio vitalizio sono un
po’ meno di 2 parlamentari su 3, e questo per effetto dei parlamentari
subentrati ad altri colleghi che nel corso della legislatura si sono
dimessi (come nel caso di chi ha lasciato le Camere per sedere
all’Europarlamento dopo le europee del 2014). Per 13 deputati e 6
senatori neoeletti e subentrati ormai non c’è nulla da fare: anche se la
legislatura arrivasse alla sua conclusione naturale non riuscirebbero
mai ad accumulare i 4 anni, 6 mesi e un giorno di esperienza
parlamentare. Mentre per altri 4 deputati e 3 senatori neoeletti e
subentrati c’è ancora speranza nel caso si riuscisse a scavallare il
2017 e andare al voto nella primavera 2018, a scadenza naturale.
Una
percentuale così alta di neoeletti ha sostanzialmente due cause:
l’ingresso in Parlamento, nel 2013, di una forza totalmente nuova, il
Movimento 5 Stelle; l’opera di ringiovanimento delle liste voluta
dall’allora segretario Pd, Pier Luigi Bersani. Mentre sono tutti
neoeletti i parlamentari 5 stelle, il Pd ha una percentuale pari al 69%
alla Camera e al 62% al Senato. E questo dato è stato preso di mira
dagli esponenti grillini. Alessandro Di Battista ha scritto un post su
Facebook: «Dopo Monti, Letta e Renzi vogliamo un governo con la piena
legittimità popolare. Il M5S vuole andare al voto il prima possibile.
Ora capite perché non ci vogliono far votare?»; il riferimento è a una
immagine allegata in cui si legge: «La pensione d’oro arriva dopo 4 anni
di legislatura, e cioè a settembre 2017. Ecco perché non vogliono farti
votare prima». Stesso argomento utilizzato dal deputato Danilo
Toninelli: «Abbiano paura che questo parlamento vada avanti sino a fine
legislatura, o magari arrivando ai 4 anni e mezzo e un giorno necessari
per assicurarsi pensioni d’oro». Accuse a cui ha replicato così il
deputato dem Umberto D’Ottavio: «Basta con i tentativi del M5S di far
credere che i deputati Pd vogliono arrivare a ottobre per la pensione.
Molti parlamentari Pd alla prima legislatura sono professionisti o
dipendenti in aspettativa. Piuttosto si preoccupi di quei parlamentari 5
stelle che senza l’incarico di deputato o senatore tornerebbero
disoccupati e che sperano che il Pd salvi loro la poltrona».
Tutta
la questione nasce dalla riforma dei vitalizi del 2012, che ha
introdotto il metodo del calcolo contributivo. L’ex parlamentare matura
il diritto al vitalizio se ha svolto il mandato per almeno 5 anni (in
realtà sono 4 anni, 6 mesi e un giorno per evitare che la pensione salti
in caso di “scioglimento tecnico” delle Camere inferiore ai 5 anni
esatti) al compimento di 65 anni. Per ogni mandato oltre il quinto, il
requisito anagrafico è diminuito di un anno fino al minimo inderogabile
di 60 anni.