il manifesto Alias 11.12.16
Kafka liberato dalla gabbia del suo personaggio
Classici.
«Questo è Kafka?»: la domanda del suo maggior studioso, Reiner Stach,
accompagna con ironia i 99 «ritrovamenti» ora tradotti da Adelphi:
fotografie, dediche, cartoline, frontespizi, che contribuiscono a
decostruire un tenace intreccio di miti e a rivelare un carattere
contraddittorio e insospettabile
di Andreina Lavagetto
Reiner
Stach è al momento, in Germania, il maggiore e più conosciuto biografo
di Kafka. Il suo quasi ventennale lavoro si è concluso nel 2014 con la
pubblicazione presso Fischer del terzo volume dell’impresa biografica.
Nell’insieme, un’opera imponente che unisce il rigore della
ricostruzione alla tensione e alla bellezza del racconto. Sempre da
Fischer, nel 2012, Stach ha pubblicato un volume kafkiano assai più
agile nella mole e negli intenti, Ist das Kafka? 99 Fundstücke, ora
nella traduzione, accuratissima ed elegante, di Silvia Dimarco e Roberto
Cazzola per Adelphi: Questo è Kafka? 99 reperti (pp. 360, euro 28,00).
In risposta alla domanda del titolo (ma davvero? possibile che questo
sia Kafka?) Stach conduce con abilità e umorismo la regia del libro:
dispone in otto sezioni tematiche 99 «ritrovamenti» sulla vita e l’opera
di Kafka, e dedica a ciascuno sobri commenti di poche righe o di
qualche pagina, con titoli spiritosi e leggeri che accendono la
curiosità e portano a sorridere divertiti: «Kafka bara all’esame di
maturità», «Kafka si infuria», «Kafka vorrebbe essere come Voltaire»,
«Come Kafka e Brod quasi diventarono milionari», «Kafka falsifica una
firma (II)» (quella di Thomas Mann), «Kafka e Brod perdono al gioco i
soldi della cassa comune per il viaggio», «Kafka senza pruderie».
È
una collezione di fotografie, cartoline, dediche, frontespizi di libri,
ricordi di amici, impressioni di conoscenti, che Stach ha raccolto in
archivi e case private di città europee, americane e israeliane
(l’apparato delle illustrazioni è davvero interessante). Ma i reperti
sono anche e soprattutto, oltre ad alcuni disegni, passi kafkiani tratti
dalle lettere, dai diari e dai quaderni di appunti. Nulla di nuovo,
certo, ma Stach cerca brani più riposti, poco conosciuti, che alla luce
di questa attenzione esclusiva acquistano diverso rilievo. La scelta è
felice, così come gli accostamenti e l’ordine generale. Fine dell’opera,
più che evidente ma sottolineato da Stach nella breve introduzione, è
di sottrarre Franz Kafka al peso degli stereotipi che ne condizionano la
lettura presso il pubblico meno avvertito e attento. Questo è Kafka?
contribuisce a minare e decostruire quel tenace intreccio di miti che
imprigiona Kafka, scrittore universalmente conosciuto, nel canone
astratto delle celebrità indiscusse: tanto indiscusse che la loro
complessità e realtà non sono più, se non presso l’élite dei lettori
congeniali, oggetto di domande, dubbi e riflessioni.
In Stach si
parla, per esempio, del curioso, spesso incoerente modo con cui Kafka
trattava il denaro; della sua avversione per i medici; della disciplina
sportiva (ginnastica, nuoto, remi) con cui cercava di dar forza a un
corpo troppo magro che fin da bambino apriva in lui abissi di disagio;
della sua propensione alla risata; della sua attenzione per i bambini;
dei pochi casi in cui parlava male di qualcuno; delle emozioni che quasi
sempre reprimeva e disciplinava; della sua difficoltà a mentire; della
delicatezza con cui, mentendo, volle tener nascosta ai genitori la sua
malattia; del modo in cui, appunto, affrontò la tubercolosi; delle sue
idiosincrasie alimentari, oggetto di autoironia; della tendenza a
giustificare le proprie azioni fin nei dettagli, ossessionato com’era
dal bisogno di correttezza e onestà; del sesso, di cui Kafka sapeva
anche parlare con certa rude franchezza.
Aspetti, questi, che
Stach ha sempre studiato e messo in evidenza nei tre volumi della
biografia, inserendosi nella linea degli studi kafkiani che ormai da
anni lavorano con successo per rendere conto dell’autore in tutta la
complessità e i chiaroscuri della sua personalità: un’attenzione al dato
concreto che le tentazioni agiografiche inaugurate da Brod e alimentate
da tanta critica hanno sempre negato. Solo che qui, nei 99 reperti,
l’inserimento dell’autore in una complessa realtà storica, sociale,
familiare e psicologica è il fine esclusivo: sicché la ‘peculiare
normalità’ di Kafka emerge con particolare chiarezza.
Speciale
interesse rivestono a mio avviso due delle sezioni tematiche in cui si
articola il libro di Stach: «Leggere e scrivere» e «Slapstick». Per
ovvie ragioni la prima, perché conservano attualità i documenti e le
considerazioni che con finezza e senza invadenza – come qui accade –
continuino a interrogarsi sulle modalità e le fonti d’ispirazione della
scrittura kafkiana. «Slapstick» perché insiste in maniera convincente
sulla comicità nell’opera di Kafka, un tema su cui si scrive da tempo ma
che offre ancora margini di riflessione.
Laconicamente seria è
invece l’ultima sezione, «Fine», in cui Stach si ritira quasi del tutto e
lascia parlare i documenti: i due brevi testamenti con cui Kafka
dispone delle sue carte, l’iscrizione sepolcrale e l’elogio funebre
scritto da Milena Jesenská. Soprattutto, l’ultima lettera, scritta da
Kafka ai genitori il giorno prima della morte nel sanatorio di Kierling,
vicino a Vienna: in una grafia quasi irriconoscibile, con tono lieve e
amorevoli bugie, Kafka chiede ai genitori di rimandare ancora un poco la
loro visita perché, anche se «tutto volge al meglio», non si è ancora
«ben ripreso».
Che l’opera di Stach non sia un «Köder», una
garbata esca volta a sollecitare la curiosità dei lettori, lo hanno
sottolineato nel 2012, all’uscita del libro, importanti voci critiche
sulla stampa di lingua tedesca, da Manfred Koch a Hubert Spiegel a Fritz
J. Raddaz. Il solo rischio della raccolta di Stach è che i «reperti»,
anziché essere letti come parti di un grande quadro, vengano presi per
se stessi, come trouvailles, stranezze, stravaganze, o troppo umane
debolezze dell’uomo e scrittore Franz Kafka. Ma non occorre grande
sforzo per evitare il pericolo e comprendere l’intenzione vera di Reiner
Stach.