il manifesto 9.12.16
La finta del «voto subito». I bersaniani: «Si faccia indietro, come Cameron»
Democrack.
Le manovre del ministro Dario Franceschini. Speranza: «Noi non gli
abbiamo chiesto le dimissioni da premier, lui invece le ha date. Ora
come fa?»
di Daniela Preziosi
«Renzi faccia un
passo indietro». A dirlo apertamente, per ora, sono solo quelli della
minoranza bersaniana che, da sempre all’opposizione del segretario fino
all’ultima battaglia referendaria per il No, non hanno bisogno di usare
giri di parole per chiedergli di farsi da parte. Così ieri il senatore
Miguel Gotor ha svolto un ragionamento esplicito: «Dobbiamo dare vita a
un nuovo governo ispirandoci al comportamento adottato da David Cameron
in occasione del referendum sulla Brexit: egli non ha sostenuto che il
48 per cento del Paese fosse con lui, ma si è dimesso da premier
prendendo atto con serietà e realismo della sconfitta e ha consentito la
nascita di un nuovo esecutivo guidato sempre da un esponente del suo
stesso partito». Più diplomatico, ma solo nella forma, Roberto Speranza
ieri su La7: «Renzi ha detto che non è disponibile, credo alla sua
parola. Renzi poteva non dimettersi, oggi che si è dimesso mi pare più
complicato che possa far finta di nulla. Ma sarà lui a decidere».
In
queste parole c’è l’auspicio della minoranza: un governo affidato a una
personalità del Pd,appoggiato dall’attuale maggioranza che al senato ha
dimostrato di avere i voti fino all’ultima fiducia, e con Renzi ridotto
(ma si fa per dire) all’unico ruolo di segretario, come da sempre
proposto da Bersani e compagni.
Ma la proposta non rientra nelle
due alternative che il segretario ha fatto nella direzione di mercoledì.
La delegazione democratica che sabato pomeriggio salirà al Quirinale
per le consultazioni ha il mandato di proporre, almeno a questo primo
giro, o un governo «istituzionale sostenuto da tutti», o «elezioni
subito». Due opzioni irrealizzabili: la prima perché notoriamente mai
M5S la accetterebbero, la seconda perché la parola «subito» in questo
caso non ha senso: dopo la sentenza della Corte sull’Italicum, in ogni
caso il parlamento – a bicameralismo perfetto vigente – dovrà comunque
rimettere mano alla legge elettorale per armonizzare i sistemi di camera
e senato. E così quel «voto subito» di fatto significa almeno «voto in
primavera», di qui la necessità di avere comunque un governo.
Fra
l’altro il mandato è stato affidato ai quattro delegati (il
vicesegretario Guerini, il presidente Orfini, i capigruppo Zanda e
Rosato) senza nessuna obiezione da parte dei presenti, invitati a
tacere. E senza un voto, cosa a cui Renzi è stato convinto dai ministri
Franceschini e Orlando. Per non anticipare i tempi della discussione e
della spaccatura. Renzi ha ancora la maggioranza della direzione, scelta
dopo le primarie vinte da lui due anni fa esatti, ma alle camere il
pallottoliere è ormai in movimento. A suo svantaggio.
Nei palazzi
si moltiplicano i boatos su un «Renzi-bis», un’opzione che consentirebbe
al premier di gestire la fase pre elettorale, facendone però il
bersaglio di tutte le opposizioni per essersi rimangiato per l’ennesima
volta la parola.
Per andare al voto subito invece ci sarebbe
invece un modo, in linea teorica. Far passare rapidamente alla Camera il
Consultellum che vige anche in Senato, votando l’abrogazione
dell’Italicum anche prima dell’intervento della Consulta. Ieri lo ha
ripetuto anche il franceschiniano Antonello Giacomelli: « C’è un
problema di incertezza e incoerenza sulla legge elettorale tra Camera e
Senato, come giustamente avverte il presidente Mattarella, e quindi
bisogna intervenire provando a portare subito la riforma in parlamento,
senza aspettare la Consulta. Ma l’obiettivo deve essere il voto prima
possibile». Ma una dichiarazione non porta danno. Di fatto sarebbe un
clamoroso cambio di verso per il Pd. Il proporzionale puro e
costringerebbe i vincitori a un’alleanza fra grandi gruppi. E sarebbero
comunque larghe intese visto che i 5 stelle non sono disponibili ad
alleanze.
Ieri questa (finta) proposta ha cominciato a circolare
nelle dichiarazioni di alcuni renziani osservanti. A incitare verso
questa strada è anche il quotidiano il Foglio. Il Consultellum ha anche i
suoi fan da sinistra, come Stefano Fassina, ormai convertito al
proporzionale.
Ma per il Pd sarebbe una scelta in controtendenza
totale con quanto detto e fatto fin qui. Peraltro l’operazione Pisapia, e
cioè la proposta di Campo largo ispirata dallo stesso Renzi, rivela se
ce ne fosse bisogno che il Consultellum non è quello su cui l’ex premier
Renzi fa progetti. Non pensa al proporzionale, ha in mente una forma di
coalizione: altrimenti avrebbe invitato l’ex sindaco di Milano a
entrare nel Pd e non a mettere insieme uno scampolo di sinistra. Nel Pd
l’opzione del «voto con il consultellum» è fumo negli occhi per tutti.
Ma il segretario la agita per comunicare la sua nuova ma anche vecchia
sfida: il fatto che lui «non ha paura di niente e di nessuno». È la
«palude» che lo sta frenando.