il manifesto 9.12.16
Il renzismo è già finito, la burla ancora no
Renzi durante un'apparizione tv durante la campagna elettorale
di Michele Prospero
Considerata
la effettiva levatura del personaggio, era nelle cose che una immensa
tragedia, come la sconfitta senza appello ricevuta in uno storico
referendum che avrebbe dovuto incoronarlo, si tramutasse in burla. Che
Renzi uscisse di scena, recitando, prima del commiato per lui
inevitabile, la parte residua con un repertorio da barzelletta, era
prevedibile. Invece di prendere atto dell’accaduto, egli sembra
raccontare la trita storiella.
C’era un francese, un grande
generale che, trafitto dal plebiscito sulle riforme del senato,
abbandonava l’Eliseo e rinunciava per sempre alla politica. C’era poi
anche un inglese, un conservatore che, inciampato in un incauto
referendum sull’appartenenza all’Europa, rinunciava al numero 10 di
Downing Street e al seggio ai Comuni per rifugiarsi nel dimenticatoio.
E
poi però compare il furbo. Ha ovviamente il volto di un politicante
italiano. Anche lui aveva posto la fiducia su se stesso affidando al
popolo l’incarico di dire sì a un facile plebiscito (volete ridurre i
costi della politica e abbattere il numero dei parlamentari?). Una
valanga di voti lo ha travolto. Ma lui però non è un fesso come gli
altri, e si arrocca. Affida a una direzione surreale e senza dibattito
l’estremo e infantile tentativo di ripartire con il 40 per cento.
Cerca
così di spingere il suo partito a manovre dilatorie o persino a scelte
provocatorie (irridere il popolo sovrano senza neppure chiedere: «quando
sia poi di sì gran moti il fine / non fabriche di regni, ma ruine?»)
pur di ottenere un reincarico e formare il nuovo governo.
Una cosa
inaudita. Sfidare i 20 milioni di No, dopo aver personalizzato senza
ritegno la contesa, è prova trasparente di avventurismo. Come
l’eventuale vittoria del Sì avrebbe avuto benefici per lui incalcolabili
(investitura plebiscitaria, personalizzazione del potere), così la
prevalenza del No scatena dei costi obiettivi da cui è per Renzi
impossibile sottrarsi.
Nessun vincolo giuridico è toccato, nulla
di formale è in questione. Si parla qui solo il linguaggio politico
della inappellabile sovranità popolare.
Prendersi gioco di venti
milioni di cittadini, che hanno emesso una sentenza univoca che non
consente ulteriori esercizi di ermeneutica, è da irresponsabili. Evocare
lo scontro con il popolo sovrano, ignorando il responso delle urne, è
un atto di arroganza senza precedenti. Costringere il capo dello Stato
al reincarico di un politico che marciava per l’incoronazione della
folla e ha invece incrociato la sfiducia del popolo sarebbe un atto
dalle conseguenze inimmaginabili.
Tocca al non-partito di Renzi ristabilire il principio di realtà e quindi scongiurare avventure dopo il 4 dicembre.
Come
hanno fatto i conservatori inglesi dopo la defenestrazione referendaria
di Cameron, il Pd deve prospettare un altro governo, con un nuovo
premier. Quello che è caduto in disgrazia è, infatti, solo il leader che
ha indicato come posta in gioco del referendum la sua permanenza al
potere.
Non si tratta di evocare una semplice questione etica, e
quindi impolitica, che esige il rispetto della parola data. È in
discussione piuttosto un fondamentale principio politico.
Nessun leader, per restare in sella, può condurre una guerra contro il popolo.
Ne
consegue che Renzi deve accettare l’oblio. Non ha alcuna possibilità di
permanere al governo e nemmeno, ma questo dipende dal suo non-partito,
può conservare la leadership del Nazareno vantando la fedeltà di 13
milioni di baionette. A una ascesa precoce al potere segue per lui una
altrettanto celere caduta nelle retrovie.
È una legge della
politica che non permette eccezioni. Poiché Renzi non sembra volerne
tener conto aderendovi di sua spontanea volontà, adesso spetta alle
componenti del Pd meno predisposte allo spirito d’avventura (la
minoranza di sinistra, i cattolici più accorti, il presidente Orfini)
ricondurlo alla ricognizione dei rapporti di forza che indicano come sia
cominciata una nuova stagione politica, con attori, strategie, scenari
tutti da reinventare.
Il renzismo è già finito e Renzi, con le sue aspettative di reconquista, non se la passa meglio.