il manifesto 9.12.16
La saggezza del proporzionale contro l’avventurismo politico
Riforma
elettorale. Proprio perché governare oggi è questione tremendamente
spinosa, è davvero illusorio che lo si possa fare attraverso
marchingegni elettorali senza un consenso reale alle spalle. Una soglia
al 4% può garantire articolazione senza provocare frammentazione
di Antonio Floridia
Ma
il «ritorno al proporzionale» è davvero una iattura, un’altra delle
catastrofiche conseguenze del referendum, come sostengono pigramente
alcuni commenti che ripercorrono i peggiori luoghi comuni del recente
passato?
Nulla di tutto questo: tornare a votare con una legge
elettorale proporzionale si configura oramai come una condizione,
necessaria anche se certo non sufficiente, perché si possa sperare di
porre un argine alla crisi della democrazia italiana.
Non solo:
tornare al voto con un sistema proporzionale si rivela, a ben guardare,
come la risposta più saggia alla situazione creatasi come conseguenza
dell’avventurismo politico di Renzi. Le ragioni che depongono a favore
di questa scelta sono molteplici e si possono riassumere così: ridare la
parola alla politica.
Un sistema proporzionale permetterebbe di
orientare il conflitto politico lungo l’asse destra-sinistra, senza
comprimere le reali articolazioni della cultura politica degli italiani e
affidando agli elettori la responsabilità di indicare il peso relativo
delle diverse aree politiche.
E siccome siamo (e per fortuna siamo
rimasti) una democrazia parlamentare, occorre finalmente «liberare» il
discorso pubblico da un imbarbarimento politico e lessicale: non si può
spacciare come «inciucio» ogni possibile, e legittima, mediazione
parlamentare post-elettorale.
Spetta al confronto politico, e alla
campagna elettorale, chiarire di fronte ai cittadini quali siano le
possibili compatibilità programmatiche tra le diverse forze. Non sarebbe
già solo questo un effetto salutare, rispetto ad un dibattito politico
giocato tutto sull’asse sistema/anti-sistema, o su una venefica
personalizzazione della competizione?
MA DIRE «PROPORZIONALE», in
sé, può voler dire tutto e nulla. Ci possono essere diverse varianti e
soluzioni; ma vi è una condizione essenziale:questi benefici effetti
potranno dispiegarsi solo in presenza di un sistema che preveda una
soglia di accesso fissata al 4%, non aggirabile in alcun modo, in modo
da scoraggiare la polverizzazione della offerta elettorale e costruire
una rappresentanza parlamentare articolata, ma non frammentata.
E
ciò basta a smentire i profeti di sventura che temono il trionfo dei
poteri di veto dei piccoli gruppi (che, anzi, trovano il più ampio
spazio proprio con i sistemi che prevedono il «premio» di coalizione).
DARE
VOCE AGLI ELETTORI, senza deformare la rappresentanza delle loro idee, è
anche un modo per tornare a legittimare il ruolo politico dei singoli
eletti, ricucire una frattura drammatica, tornare ad eleggere «dal
basso», nei famosi «territori», chi ci rappresenta. Ma è anche un modo
per responsabilizzare gli elettori: chiamati a dichiarare in quali idee
si riconoscono e da chi vogliono essere rappresentati, non soltanto a
votare contro sapendo che un qualche «vincitore» ci sarà comunque, «la
sera delle elezioni».
Ma naturalmente, l’obiezione principale di
chi agita lo spauracchio del «ritorno al proporzionale» riguarda i
rischi di ingovernabilità.
Qui, si può rispondere in due modi: in
una fase di crisi acuta come quella che viviamo non ci si può
sorprendere che esista questo rischio; ma, in ogni caso, proprio perché
governare oggi è questione tremendamente spinosa, è davvero illusorio
che lo si possa fare senza avere un consenso reale alle spalle.
DI
PIÙ, È ILLUSORIO, e foriero di ulteriori fratture, pensare che si possa
ovviare ricorrendo ad un qualche marchingegno elettorale che produca
«maggioranze» fittizie. Prima o poi, come si è visto, se ne paga il
conto, e questo modo di surrogare il consenso reale si scontra con la
durezza dei fatti.
MA SI PUÒ RISPONDERE anche su un piano
empirico. È del tutto arbitrario dedurre dalle ultime elezioni, o
dall’ultimo sondaggio, gli effetti che produrrebbe una competizione su
base proporzionale. Il referendum conferma un dato che già emergeva
dalle elezioni degli anni scorsi: l’estrema volatilità dell’elettorato,
l’entità dei passaggi dal voto al non-voto e viceversa, l’indebolirsi
dei legami di appartenenza (anche per questo è un puro vaneggiamento
pensare di «intestarsi» il 40%).
Un sistema elettorale non è solo
un meccanismo che trasforma i voti in seggi: è un sistema che condiziona
anche le logiche di comportamento degli elettori. E quindi è del tutto
impossibile prevedere oggi quali effetti produrrebbe un modello diverso
di competizione, o cosa comporterebbe, ad esempio, il fatto che gli
elettori possano tornare a scegliere il «proprio» parlamentare, su una
base territoriale ristretta.
QUESTA INCERTEZZA, questo «velo
d’ignoranza», potrebbe rivelarsi una buona premessa per fare una decente
legge elettorale. Le riforme elettorali sono un gioco strategico, in
cui ciascun attore, inevitabilmente, nutre delle aspettative e cerca di
individuare le proprie convenienze, ottimali o sub-ottimali. Ma, se
l’incertezza domina, ciascun giocatore è indotto a ripiegare su una
linea più prudente.
Gli effetti perversi e imprevisti sono sempre
dietro l’angolo (Italicum docet) e questo può rendere possibili
convergenze ragionevoli. Nel nostro caso, un sistema proporzionale, con
soglia al 4%, potrebbe essere una soluzione soddisfacente per molti. E
potrebbe avere effetti positivi per il sistema politico nel suo
complesso.
Ma ciò comporta che sia battuto il partito
dell’avventura e del risentimento, evitando una corsa dissennata alle
elezioni; che, dopo l’approvazione di una legge, ci siano alcuni mesi
per poter riorganizzare le forze in campo e le basi della competizione; e
che, tra le forze politiche, torni un qualche lume di ragionevolezza,
riflettendo seriamente su ciò che è veramente necessario per salvare il
paese e la democrazia.