il manifesto 9.12.16
Il corpo politico di imperatrici e mistiche
Un
itinerario di libri per conoscere meglio alcune figure di donne
leggendarie, come Teodora o Angela da Foligno. E una cavalcata nella
storia per rintracciare le origini del velo
di Marina Montesano
Per
fortuna l’arrivo della stagione fredda ci ha aiutato a dimenticare la
farsa estiva del burkini. Ultimo – e ridicolo – capitolo del dibattito
europeo sulla liceità dei veli islamici nelle loro differenti tipologie.
Si saluta allora particolarmente volentieri l’uscita del libro di Maria
Giuseppina Muzzarelli: A capo coperto. Storie di donne e di veli (Il
Mulino, pp. 214, euro 16), cavalcata densa di idee e informazioni che
parte dal mondo antico e arriva sino alla nostra contemporaneità. Si
apre con una riflessione sulla contrapposizione nella cultura cristiana
fra Eva e Maria, ma lungi dal libro e dalla sua autrice l’idea di
prendere la consueta strada della perfidia femminile contrapposta alla
modestia.
IL COPRICAPO È QUALCOSA che si declina in infiniti modi
differenti: nei secoli tardi del medioevo, per esempio, diviene uno dei
capi di moda attraverso i quali palesare il proprio status sociale. Ne
parlano predicatori e le leggi suntuarie, con una normativa assai
rigida, e si immagina spesso disattesa, su cosa indossare e come.
Persino le immagini di Maria, tra medioevo e rinascimento, vengono
allora vestite con veli sottili e alla moda. Allora come oggi, il
vestire delle donne poteva divenire campo di uno scontro sociale.
Il
velo e il modo di portarlo erano quindi fattori distintivi, più che
uniformanti: veli per donne ricche e di condizioni più basse; veli per
le monache; per le nubili e le sposate.
IL VELO DELLE PROSTITUTE
era tema controverso; così come i copricapi di foggia maschile indossati
da donne. La documentazione iconografica è essenziale nella ricerca e
molto ben presentata nel libro. Verso la fine c’è poi spazio per le
donne che fabbricavano e vendevano veli; e il pensiero va al fatto che
pure il burkini è stato inventato, e inizialmente cucito, da una donna.
Sebbene
A capo coperto sia un testo documentato e metodologicamente perfetto
nel non appiattire il passato sul nostro presente, Muzzarelli non
indietreggia dinanzi ai confronti e alle prese di posizione. Scrive
infatti: «Il disagio che questo oggetto carico di storia produce in chi
non usa più coprirsi il capo o in chi non potrebbe né oserebbe chiedere
alle donne di coprirselo dà luogo a conseguenze di ordine diverso. Da
una parte si è realizzata una sorta di cancellazione collettiva della
lunga storia della copertura della testa delle donne in Occidente e
dall’altra si è affrontata la pratica musulmana vedendo in essa una
forma di insulto alla laicità, alla ‘libertà’ di vestire come si vuole e
soprattutto alla parità uomo-donna in luogo della subordinazione
femminile al potere maschile (…) L’identificazione fra capo velato e
costrizione viene posta quasi automaticamente come se non fosse
possibile la scelta di coprirsi il capo, eppure molte donne velate
affermano di farlo liberamente e lottano per vedere riconosciuto il
diritto di velarsi».
LA STORIA DELLE DONNE è un terreno difficile
da affrontare; anche perché si deve fare attenzione a considerare
semplicisticamente la donna come «genere» a sé: quasi che esistesse uno
specifico femminile eterno, posto al di fuori di ogni
contestualizzazione e storicizzazione. Per i secoli del cosiddetto
medioevo – e la stessa considerazione è valida anche molto oltre – le
società non avevano la percezione dell’elemento femminile della
popolazione come di un corpo separato rispetto all’insieme.
In
culture che consideravano la persona umana non solo e non tanto in
quanto individuo, ma piuttosto all’interno del ruolo familiare e sociale
che gli spettava, non è possibile astrarre una «condizione femminile»
univoca: l’esempio più tipico ci viene dalle pratiche matrimoniali, che
ai livelli più alti della società erano sempre intesi come uno strumento
politico, favorendo alleanze tra gruppi familiari e istituzionali.
Teodora
L’imperatrice Teodora in un particolare musivo, San Vitale, Ravenna
Difficile
ricondurre a una categoria semplice un personaggio come Teodora: moglie
dell’imperatore Giustinano e personaggio estremamente controverso – al
pari di lui, peraltro. Ci prova Giorgio Ravegnani in una biografia:
Teodora. La cortigiana che regnò sul trono a Bisanzio (Salerno, pp. 238,
euro 16,90). Giustiniano è stato in primo luogo l’imperatore del Corpus
iuris civilis, la grande raccolta di leggi e giurisprudenza di Roma,
poi passata (sebbene attraverso molti filtri) all’Occidente. È stato
anche l’imperatore che provò a riconquistare la pars Occidentis
dell’impero romano; riuscì in effetti a trionfare sui Vandali e poi sui
Goti in Italia, ma il conflitto fu rovinoso per l’economia e, complice
la peste, per le perdite umane.
A Costantinopoli represse nel
sangue l’insurrezione, cominciata da uno scontro tra i fautori delle due
fazioni nelle gare circensi, i «verdi» favoriti dalla plebe e gli
«azzurri» considerati la squadra degli aristocratici; ma in realtà pare
che il tumulto fosse fomentato dall’interno della corte e da una parte
dell’aristocrazia. In quel frangente Giustiniano fu sul punto di fuggire
dalla capitale: secondo la tradizione, a trattenerlo e a salvargli il
trono furono la presenza di spirito e il coraggio della moglie Teodora,
donna dalle oscure origini. La «leggenda nera» che la circonda si deve
al grande storico di Giustiniano, Procopio di Cesarea.
QUESTI
AVEVA RICOPERTO diversi incarichi a corte, il che gli aveva consentito
di avere una conoscenza straordinaria degli eventi. La sua opera più
curiosa è la Storia segreta, nella quale Procopio rovescia le posizioni
elogiative nei confronti di Giustiniano tenute in altre opere e compone
un vero e proprio libello contro l’imperatore e sua moglie Teodora,
descritta come una donna che dall’esercizio della prostituzione ascende
al trono e, una volta arrivata, affligge le altre prostitute chiudendole
in convento, ma anche le aristocratiche, spingendole a sposare uomini
del popolo. Larga parte della «leggenda nera» dell’imperatrice Teodora
deriva dalle pagine di Procopio. Non scherza nemmeno su Giustiniano, del
quale scrive ch’era in rapporto con i demonî e che la madre l’aveva
generato in seguito al suo amore con un demonio incubo. Non sorprende
quindi che la Storia segreta sia rimasta tale per secoli.
Angela_of_Foligno_1
Può
sembrare curioso che una grande protagonista della mistica
bassomedievale, Angela da Foligno, presenti una biografia con qualche
tratto simile a quello dell’imperatrice Teodora. Oscura anche la sua
giovinezza, con un matrimonio e una vita familiare distrutti dal
terremoto del 1279 e dalla guerra fra le parti: di lì una crisi profonda
che rasenta pazzia e depressione e dalla quale la donna si risolleva
grazie alla conversione. Quasi due esistenze differenti, insomma. Nella
sua seconda, Angela aderisce al Terz’Ordine regolare di San Francesco,
ha una crisi pubblica durante un pellegrinaggio ad Assisi e poco dopo
inizia l’esperienza di mistica.
Il racconto è affidato a un
Memoriale che possiamo ora leggere nella bella edizione di Francesco
Santi (pubblicata in La letteratura francescana. Volume V. La mistica,
Fondazione Lorenzo Valla / Mondadori, pp. 452, euro 35: la seconda parte
del volume è dedicata invece a Raimondo Lullo), ricca di
un’introduzione che aiuta la comprensione del testo e del contesto
storico. Si potrebbe pensare a questo genere di esperienza come a una
forma di regressione o di riduzione della vita femminile in un ambito
privato e puramente spirituale. Ma la vicenda di Angela, nonché quella
di altre donne e mistiche del suo tempo, va nella direzione opposta.
IN
UN’EPOCA DI CRISI della teologia, la donna di Foligno ha una proposta
di lettura del francescanesimo e della fede che ne fanno un’assoluta
protagonista. Come scrive Santi: «In molti casi ha continuato a giocare
nei lettori moderni il pregiudizio (mascherato come obiettività storica)
secondo cui una laica, pressoché incapace di leggere e scrivere, non
poteva essere in grado di formulare una teologia coerente, senza
considerare che il punto di riferimento della teologia cristiana sono le
Scritture, che Angela mostra di conoscere molto bene e, appunto, di
comprendere pienamente e in maniera creativa».
Creativa, alla fine
del discorso, è la storia con la sua infinità di esperienze. In modi
diversi questi tre libri ci mostrano infatti che il ridurre la realtà a
visioni univoche, magari modellate sulla nostra percezione del presente,
è pericolosamente fuorviante.