il manifesto 8.12.16
Renzi si dimette. Per riprendersi Palazzo Chigi
Governo.
 Da oggi le consultazioni. Il Pd proporrà un impossibile governo «di 
tutti». Obiettivo del segretario: reincarico o Gentiloni premier
di Andrea Colombo
ROMA
 Le crisi possono essere più o meno drammatiche ma le liturgie bizantine
 della politica italiana, quelle non cambiano mai e neppure cambiano i 
giochini tattici che accompagnano quei cerimoniali.Alle 19 di ieri 
Renzi, dopo aver incassato al Senato con 173 voti una ridicola fiducia 
sulla legge di bilancio, è salito al Colle per rassegnare le dimissioni e
 consegnare nelle mani del capo dello Stato, a nome del Pd, una proposta
 che tutti sanno non avere neppure una possibilità su mille di essere 
accettata. Renzi rimetterà al Parlamento la scelta tra andare alle 
elezioni subito dopo il pronunciamento della Corte costituzionale o 
lasciar proseguire la legislatura. Ma in quest’ultimo caso «la 
responsabilità deve essere di tutti». La maggioranza deve insomma essere
 allargata ad altre forze politiche.
Le consultazioni inizieranno 
oggi alle 18, come da tradizione con i presidenti delle Camere, e 
finiranno sabato pomeriggio. L’ultima delegazione sarà quella del Pd 
della quale non farà parte il segretario ma solo il vice Lorenzo Guerini
 e i capigruppo di camera e senato. Serviranno a sondare in vista del 
futuro, ma per quanto riguarda la proposta Renzi sarà solo melina. 
Nessuno risponderà positivamente, come lo stesso Renzi sa perfettamente.
 La proposta è fatta per essere rifiutata e aprire così le porte alla 
vera opzione sulla quale punta il dimissionario: restare al posto che 
già occupa, farsi reincaricare e succedere a se stesso.
Il piano 
di battaglia lo hanno messo a punto i soliti falchi, capeggiati da Maria
 Elena Bochi e Luca Lotti, in una cena con altri 23 componenti della 
guardia di ferro di cui ha dato notizia ieri l’Huffington Post. Perché 
lasciare il governo, perdendo così il controllo sulla sua durata, 
rinunciando a gestire la campagna elettorale e magari dovendo pure 
mollare il sottosegretariato occupato da Lotti proprio quando suona la 
campana per un cospicuo mazzo di nomine eccellenti? Il solo problema 
sono i dubbi di Renzi, consapevole, anche se solo in parte, della figura
 tombale che si accinge a fare dando retta agli stessi strateghi che 
hanno guidato la guerra del referendum.
Proprio conoscendo i dubbi
 del capo i congiurati hanno messo in campo una seconda ipotesi: governo
 amico, anzi più che amico. Dunque né il presidente del senato Grasso, 
incontrollabile, né Franceschini, che dalle parti del Nazareno una 
coltellata alle spalle non si nega a nessuno e perché invogliare Dario 
mettendogli la daga fra le mani? Nel caso la scelta cadrebbe su Paolo 
Gentiloni, con il fido Lotti inamovibile.
Messa così, però, Renzi 
preferirebbe giocarsela in prima persona, e non solo per avere la 
garanzia di poter togliere a piacimento l’’ossigeno al governo. Quel che
 lo spaventa, ha confessato nei giorni scorsi, è il «cono d’ombra». 
Lontano dalla ribalta, senza più essere sempre sotto l’occhio delle tv, 
impossibilitato a rivendicare successi e trionfi. E’ così che ci si fa 
dimenticare.
C’è una terza considerazione che spinge Renzi a fare 
il contrario di quanto aveva promesso. Perso il governo dovrebbe fare il
 segretario a tempo pieno. Non lo sa fare e non lo vuole fare. La 
tentazione dunque è forte ma alla fine, ieri sera, le controindicazione 
sembravano prevalere e Renzi pareva orientato verso la candidatura 
Gentiloni, col mandato rigido di staccare la spina al comando del capo.
Ci
 sono due ostacoli da superare: il primo è il semaforo verde del Colle. 
Per il reincarico ci sarebbe certamente una maggioranza intatta. Renzi 
non era tenuto a dimettersi. La verità è che la sua permanenza a palazzo
 Chigi farebbe comodo a tutti tranne che a lui stesso. Ma anche con 
Gentiloni è difficile immaginare che il Quirinale vedrebbe problemi.
Il
 secondo ostacolo – in entrambi i casi – è meno facilmente sormontabile.
 Sergio Mattarella non vuole solo un governo in carica fino al 
pronunciamento della Consulta sull’Italicum. Ha detto chiaramente che 
vuole una «armonizzazione» tra la legge per la Camera e quella per il 
Senato. Giorgio Napolitano, già alto protettore del dimissionario e che 
ieri ha parlato al telefono con il medesimo prima della Direzione Pd, è 
dello stesso avviso: «Il voto subito è una proposta tecnicamente 
incomprensibile».
Renzi però insiste sulla corsa a perdifiato e 
nella sua e-news, postata subito prima della direzione, sfida il capo 
dello Stato. Se il governo istituzionale verrà bocciato dai partiti 
d’opposizione, scrive, bisognerà «votare con le attuali leggi 
elettorali, come modificate dalla Corte». Le basi per uno scontro di 
prima grandezza ci sono tutte, e non diminuiranno anche se Renzi si 
rassegnerà a cedere a qualche «amico» il posto. Bisognerà però vedere se
 i contendenti vorranno fare chiarezza subito o aspettare la sentenza di
 gennaio della Consulta, come è più probabile. Per ora in testa alla 
lista di Renzi, infatti, c’è la resa dei conti con la minoranza del Pd e
 in quella di Mattarella il risolvere il prima possibile la crisi. Al 
resto si penserà a fine gennaio.
 
