il manifesto 8.12.16
Segnali della Corte, il destino dell’Italicum è segnato
La
data del 24 gennaio è stata decisa dai giudici costituzionali per
allargare il campo delle accuse. Il ruolo di palazzo Chigi, fin qui in
difesa del nuovo sistema di voto
di Andrea Fabozzi
Quando
le leggi elettorali finalmente arrivano davanti alla Corte
costituzionale, il loro destino appare segnato. Fu così con il
Porcellum, nel 2013 (il 4 dicembre!), giudicato incostituzionale dopo
che il presidente della Corte si era spinto ad augurarsi in pubblico che
la legge venisse sottoposta all’attenzione dei giudici. Ed è così con
l’Italicum, figlio diretto e somigliante del Porcellum, dal momento che –
adesso – tutti i partiti – anche quelli che l’hanno approvato con la
fiducia – aspettano la sentenza di condanna della Consulta per capire
come si potrà andare a votare.
Anche Renzi ora guarda ai giudici
della Corte costituzionale, anche se trucca un po’ le carte su quello
che potrà succedere dopo: il voto non sarà questione di giorni perché il
parlamento dovrà intervenire necessariamente, e per farlo avrà bisogno
di leggere le motivazioni della sentenza. Renzi che però si è fin qui
mosso in direzione opposta, dando istruzioni all’Avvocatura dello stato
di difendere strenuamente l’Italicum davanti ai tribunali dove il pool
di avvocati coordinati da Felice Besostri lo aveva condotto. Anzi, la
questione preoccupava talmente palazzo Chigi, da aver costituito una
sorta di unità di crisi centrale alla quale le avvocature dello stato
sul territorio hanno dovuto riferire in corso d’opera tutti i dettagli
delle cause. A questo punto sarà interessante vedere se gli avvocati del
governo continueranno a sostenere, anche davanti ai giudici delle
leggi, che l’Italicum non può essere giudicato perché, non essendo stato
ancora applicato, non può aver leso il diritto al voto di alcun
cittadino. Nel caso del Porcellum, all’ultimo momento, il governo Monti
non seguì i precedenti ed evitò di difendere la legge, che finì
abbattuta. Questa volta ancora non possiamo dire quale presidente del
Consiglio dovrà decidere, a gennaio, le mosse opportune.
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Le
intenzioni della Corte, dove il giudice Zanon ha già avuto il tempo di
scrivere la sua relazione (l’udienza era originariamente fissata il 4
ottobre), traspaiono anche dalle mosse di queste ore. Ieri, per
difendersi dall’accusa di prendersela troppo comoda, la Consulta ha
spiegato che si tratta dei tempi minimi previsti dalla procedura. E
successivamente ha informato anche chi non ne aveva notizia che i
ricorsi dei tribunali sono diventati cinque (Messina, Torino, Perugia,
Trieste, Genova) di questi però solo quattro già comunicati
ufficialmente alla Consulta. La data del 24 gennaio è stata in tutta
evidenza scelta per inserire anche il ricorso di Trieste, che sebbene
verta sugli identici due motivi sollevati da Torino e Perugia (la
possibilità per i pluri candidati in testa alle liste di scegliere dopo
il voto il collegio, e la mancanza di una soglia per accedere al
ballottaggio) appesantisce il piatto delle doglianze. L’ordinanza di
Trieste sarà pubblicata, scavalcandone altre, sulla Gazzetta ufficiale
del 14 dicembre. Con la riduzione al minimo dei termini (una facoltà del
presidente della Corte) per la costituzione delle parti, la
convocazione dell’udienza e la presentazione delle memorie, riuscirà
così a entrare nel giudizio del 24. Dove potrebbe persino inserirsi
l’ordinanza di Genova (che solleva quattro dubbi di incostituzionalità
ulteriori rispetto ai due già illustrati, tra i quali l’enormità del
premio anche al primo turno), sebbene sia stata spedita dal tribunale
alle Corte appena ieri.
La linea di attacco dell’avvocato Besostri
invece non cambia rispetto a quella studiata per l’udienza saltata di
ottobre. Non si limiterà a eccepire sui singoli punti, ma chiederà
l’incostituzionalità di tutto l’Italicum. Dopo l’affossamento della
riforma costituzionale ha sicuramente qualche argomento in più.