il manifesto 7.12.16
L’Occidente abdica, Aleppo in mano alla Russia
Siria.
Gli Usa senza più alternative, tra Assad e un’opposizione sunnita
radicale, dicono sì al piano russo e poi cambiano idea. Mosca pone il
veto al Consiglio di Sicurezza e punta a distruggere i “ribelli” prima
dell’arrivo di Trump
di Chiara Cruciati
Damasco
avanza nel cuore di Aleppo est, la Russia impone diktat, la strategia
Usa si scioglie come neve al sole. Sullo sfondo il silenzio assordante
di Bruxelles, fuoriuscita dalla crisi siriana pagando miliardi di
dollari alla Turchia di Erdogan per fermare i profughi disperati, e
dell’Onu che si limita a proporre risoluzioni nate già morte.
Il
voto di lunedì sera in Consiglio di Sicurezza sulla mozione che chiedeva
una settimana di tregua nella città siriana è stato archiviato dal veto
di Russia e Cina. Un veto prevedibile visti i piani che Mosca ha per
Aleppo, portati avanti con jet e negoziati sottobanco con opposizioni
reticenti.
Quanto avviene oggi è diretta conseguenza della
decisione dell’Occidente di abdicare, di farsi da parte nella ricerca di
una soluzione politica ad un conflitto che ha volutamente acceso come
parte della redifinizione di confini e zone di influenza in Medio
Oriente, processo cominciato nel 2003 con l’invasione dell’Iraq.
Con
le bombe che stravolsero Baghdad 13 anni fa, con la caccia alla testa
di Saddam Hussein e la distruzione dello Stato iracheno, gli Stati Uniti
e i suoi alleati – Londra, Roma, Madrid, Parigi, ma anche il Golfo –
hanno pavimentato la strada verso l’ennesimo colonialismo che oggi
esplode in tutte le sue contraddizioni. Perché è ricomparsa la Russia
che ha archiviato l’imperialismo monocolore Usa e ha imposto i propri
interessi, facendo da calamita per quei paesi tagliati fuori dalla rete
di alleanze statunitense.
Le lacrime di coccodrillo di fronte al
dramma di Aleppo e alla prossima vittoria del nemico Assad lasciano il
tempo che trovano. A versarle è chi ha finanziato ribelli di sordida
fama, chiaramente pochi interessati ai valori democratici millantati da
Bruxelles e Washington. Armi e denaro hanno riempito le casse di milizie
salafite, islamiste, qaediste, ma anche di gruppi apparentemente
liberali e poi pronti a saltare sul carro di al Qaeda.
Oggi quelle
contraddizioni – ancora più eclatanti guardando alla vicina Mosul, dove
gli islamisti sono bollati come il male quando in Siria vengono più che
tollerati – massacrano Aleppo. Le opposizioni non intendono cedere
nonostante l’avanzata dei governativi: ieri altri quartieri di Aleppo
est (Shaar, Dahret Awad, Juret Awad, Karam al-Beik e Karam al-Jabal)
sono caduti in mano a Damasco, che ormai controlla il 70% di Aleppo est e
si trova a poche centinaia di metri dal cuore della Città Vecchia.
Mosca
può così permettersi di dire no alla tregua, ribadendo che sarà indetta
solo quando i “ribelli” si arrenderanno. Per questo ha preparato un
piano con Washington, un accordo di massima su tempi e vie di
evacuazione dei miliziani a Idlib che ieri la Casa Bianca ha però
ritirato: «Ora hanno un nuovo piano – ha detto il ministro degli Esteri
russo Lavrov, che bolla come «inaffidabile» la controparte – È un
tentativo di dare tempo ai miliziani, riprendere fiato e rifornirsi».
Le
stesse opposizioni ieri hanno rigettato la proposta di resa. Alla testa
del fronte anti-Assad, compattato dall’ultima offensiva governativa
sotto la nuova bandiera dell’Esercito di Aleppo, ci sono salafiti e
jihadisti che con una mano accolgono gli aiuti esterni e con l’altra
rifiutano di seguire le indicazioni Usa. Mosca è convinta dei legami con
l’Occidente, intessuti via Turchia, e ieri ha apertamente accusato le
intelligence avversarie di aver fornito alle opposizioni le coordinate
dell’ospedale da campo russo appena arrivato ad Aleppo ovest e subito
colpito dai missili dei “ribelli”.
Gli Stati Uniti negano le
accuse ma la fragilità della loro non-strategia regala spazio e tempo
alla Russia. Lo spiegano bene le parole del segretario di Stato Kerry
che ieri rimpiangeva l’occasione del settembre 2013 quando Obama bloccò
in extremis l’intervento contro Assad («Ci è costato moltissimo») e le
dichiarazioni di lunedì, al suo ultimo meeting Nato prima dell’avvento
del nuovo presidente Trump: «L’angoscia [occidentale] si manifesta nelle
politiche in tutto il mondo».
Perché Usa e Nato (sgretolata dal
doppiogioco dell’alleato turco) hanno subito l’avanzata russa, prima
diplomatica e poi militare, per arrivare alla fine del secondo mandato
dell’amministrazione Obama senza prospettive di vittoria. Tutto finirà
nelle mani di Trump, alla cui entrata in carica la Russia vuole arrivare
con un Aleppo senza ribelli.
Con una Casa Bianca senza più
alternative – Assad da una parte e una compagine sunnita radicale
dall’altra – il tycoon potrebbe optare per la via più semplice:
combattere l’Isis in coordinamento con Putin, lasciando il caos siriano
ai russi. Con il rischio, però, di veder rafforzato il suo spauracchio,
l’Iran.
Nella capitale del nord, ormai ombra della bellezza
abbagliante persa nel 2012, si muore ogni giorno: 340 i civili uccisi a
est dal governo, 80 ad ovest dai “ribelli”. Alla morte si aggiunge la
consapevolezza dei sopravvissuti: serviranno anni per ricostruire le
normali relazioni sociali, politiche ed economiche che hanno
caratterizzato la Siria, per rimbastire rapporti di fiducia e mutuo
rispetto, per ricucire le ferite di sfollati, rifugiati e civili
disumanizzati, trasformati in meri scudi umani.