il manifesto 6.12.16
«Il 40 per cento? Al Pd al massimo il 36»
Democrack.
I bersaniani: Renzi ha scollegato il partito dal paese, mai più
dibattiti finti e pagliacciate. Domani direzione.a tentazione
dimissioni, poi rientrare Sul leader pressing di Boschi e Lotti:
«Ripartiamo»
di Daniela Preziosi
ROMA Una pizza a
casa Epifani domenica sera, per ammazzare l’ansia del referendum, poi
la valanga di No. L’attesa che le prime proiezioni cambiassero tutto. E
invece no, è andata malissimo per il Pd, ma bene per la sinistra
bersaniana, ridotta a una quarantina di parlamentari pronti a «pesare»
nel caso di «precipitazione» verso il voto anticipato. La minoranza Pd
ha festeggiato – chi con D’Alema, chi con qualche «compagno di Sinistra
italiana» – il fatto «di essere stati nel giusto», come dice Roberto
Speranza. Un elettore su quattro ha votato No. Ieri si sono visti alla
camera. Domani alle tre c’è la direzione: «Non andremo con gli appunti
scritti», spiega Nico Stumpo, «e non chiediamo le dimissioni del
segretario. Sentiamo cosa propone. Ma basta pagliacciate, dibattiti
finti e documenti finali precompilati. Dovremo analizzare la sconfitta».
La
parola «sconfitta» è parecchio peggio della «non vittoria» per cui è
stato messo in croce Bersani all’indomani delle politiche del 2013. La
«grande scoppola» brucia al punto che nella notte di domenica a qualcuno
dei suoi Renzi ha confidato la pazza idea di dimettersi anche dalla
segreteria del Pd. Alla mezzanotte, davanti alle telecamere spianate a
Palazzo Chigi, mentre recitava lo show televisivo delle dimissioni (che
invece arriveranno poi), ci aveva già ripensato e aveva pronunciato
quella frase. Non chiara, ma non casuale.
«È tempo di rimettersi
in cammino». Al Nazareno nessuno crede all’ipotesi estrema. Anzi, dal
cerchio stretto dei renziani arriva il segnale opposto.Un tweet di Luca
Lotti, il più luogotenente di tutti: «Tutto è iniziato col 40 per cento
nel 2012. Abbiamo vinto col 40 per cento nel 2014. Ripartiamo dal 40 per
cento di ieri». Un po’ più gigione Andrea Marcucci, ma la linea è la
stessa: «Come disse Bluto in Animal House: non finisce mica qui. Renzi
ha confermato di avere la statura del leader», dunque ora tutti pronti a
«ripartire con Renzi, dal 40 per cento dei Sì al referendum». Una
percentuale che però è una somma di tante cose: i voti di Casini, di
Alfano, del 20 per cento dei forzisti disobbedienti e di qualche
grillino pro-riforma. Il partito di Renzi, voto più voto meno, o quello
della nazione. La ripartenza da questa «accozzaglia» è la linea
sussurrata oggi al segretario dal quotidiano Il Foglio. Lo stesso che
ieri sussurrava a Veltroni la linea del «Pd partito liquido». Com’è
finita è storia nota.
«Se è un bel risultato lo voglio vedere
scritto dietro il tavolo della direzione, questo 40 per cento, come
Renzi fece dopo le europee», è la sfida del senatore Miguel Gotor. «Fra
quei sì, che sono figli di una logica referendaria e di un comportamento
elettorale diverso dalle elezioni politiche, la quota Pd va alquanto
ridotta. Come rilevano i dati dell’istituto Cattaneo». Fin qui Gotor. Ma
c’è anche chi azzarda due conti: «Fra quei Sì del Pd ci sarà al massimo
il 36 per cento». Nel pomeriggio anche Massimo D’Alema batte sul punto,
da Cartabianca su Raitre: «Saggezza vorrebbe che si facesse una
discussione seria, interna al Pd, e si cercasse un terreno di
ricomposizione. Altrimenti, altro che ripartire dal 40, si ripartirebbe
da una grande crisi». Quanto alle dimissioni da segretario, anche l’ex
presidente non ci crede: «Se si dimettesse ora si dovrebbe fare il
Congresso in un clima avvelenato».
Il congresso comunque verrà
anticipato? La minoranza, che lo ha chiesto fino al 4 dicembre, ora
sembra avere un po’ meno fretta. Il colpo di freno ha a che vedere con
«le tante incombenze che deve affrontare il nuovo governo, non solo la
legge elettorale», viene spiegato. Ma c’è anche la contrarietà netta al
voto anticipato a cui punterebbe Renzi. Ieri Matteo Richetti lo ha
ribadito a Ottoemezzo (La7): «Andremo dal presidente Mattarella a dare
il nostro sostegno ad ogni soluzione che sceglierà ma tenendo ben
presente che bisogna andare a elezioni il prima possibile. È evidente
che non si può fare un quarto governo non eletto». Eppure Renzi sa che
ogni volta che fa balenare l’ipotesi perde qualche devoto nei gruppi
parlamentari. Formalmente la richiesta di congresso anticipato da parte
della minoranza resta. Gotor: «Prima dei nomi c’è la distinzione dei
ruoli fra segretario di partito e candidato premier. E la discussione
sulla politica. In questi anni c’è stato un cambio di linea di fatto:
dal centrosinistra al neocentrismo, con quella ipotesi suicida dello
schieramento dei ’sistemici’ contro gli ’antisistema’». Che ai
ballottaggi produce sfracelli. Pure ai referendum.
Il candidato
dei bersaniani è Speranza. Stumpo non ha dubbi. Qualcun altro ancora sì.
Perché, in caso di nuova corsa di Renzi alle primarie del Pd, la sua
vittoria non è in discussione, neanche con le mani legate. Il punto
sarebbe provare a capire che faranno tutti quelli che si stanno
autonomizzando dal renzismo. Come i ministri Delrio e Franceschini.