il manifesto 5.12.16
I Barghouti conquistano Fatah
Territori
Occupati. Marwan Barghouti, il Mandela palestinese, e sua moglie Fadwa
conquistano la maggior parte dei consensi negli organismi dirigenti di
Fatah. Il movimento però non si è rinnovato e il suo Congresso si è
chiuso ieri senza novità, anche nella strategia politica
di Michele Giorgio
Nessuna
sorpresa alla chiusura del VII Congresso di Fatah ieri a Ramallah. I
voti dei circa 1300 delegati hanno rispettato le previsioni della
vigilia. Marwan Barghouti, il “Mandela palestinese”, in carcere dal 2002
in Israele dove sconta cinque ergastoli, con 930 voti è risultato il
dirigente più popolare di quello che una volta era il movimento
dominante sulla scena politica palestinese. Farà parte ancora una volta
dei 18 membri del Comitato centrale, il braccio esecutivo di Fatah,
guidato da Mahmud Abbas (Abu Mazen) riconfermato alla presidenza per
acclamazione in apertura del congresso. Dietro Barghouti c’è Jibril
Rajoub, un ex comandante della sicurezza preventiva dell’Anp e attuale
presidente della Federcalcio palestinese. Segue una lista di nomi noti
ai vertici di Fatah, in qualche caso almeno da un paio di decenni. Il
voto, come previsto, ha escluso dagli organismi dirigenti del movimento
il rivale di Abu Mazen, Mohammed Dahlan e tutti i suoi uomini (peraltro
già non invitati al Congresso).
Dalla conclusione del Congresso
emerge anche un altro dato ed è il più importante: non c’è stato un
rinnovamento reale ai vertici del Comitato centrale. E poco
significativi sono quelli che si registrano nel Consiglio Rivoluzionario
(una sorta di assemblea legislativa) che, si diceva, doveva aprire le
porte alla generazione giovane e dare nuova linfa a un movimento che è
solo un opaco ricordo di quello che tra la fine degli anni ’60 e la metà
degli anni ’80 fece sognare i palestinesi la piena autodeterminazione e
una rivoluzione dell’ordine mediorientale. Brilla però il numero più
alto di voti raccolti nel Consiglio Rivoluzionario da Fadwa Barghouti,
moglie di Marwan e sempre più personalità di primo piano del movimento.
La coppia Barghouti ha ottenuto la maggior parte dei consensi dei
delegati.
Il resto invece è poco esaltante. La nuova “piattaforma
politica” non fa altro che riaffermare la linea svolta in questi anni da
Fatah sotto la leadership di Abu Mazen. A cominciare dal sostegno
all’abituale negoziato con Israele che pure nei 23 anni dalla firma
degli Accordi di Oslo non ha avvicinato di un metro quello Stato di
Palestina che proprio il presidente di Fatah (e dell’Anp) la scorsa
settimana ha auspicato di poter raggiungere già nel 2017. Manca inoltre
una proposta concreta per la riconciliazione con gli islamisti di Hamas
che pure era stata lasciata intravedere alla vigilia del Congresso.
Rituali appaiono anche i riferimenti al ruolo e ai diritti dei
palestinesi che vivono da profughi. «Con una sola donna (Dalal Salameh,
ndr) nel Comitato centrale e la maggior parte dei vecchi dirigenti
rimasti al loro posto, non si può che concludere Fatah ha perduto
un’altra occasione», ha commentato l’analista Diana Buttu del centro
Shabaka.
Tirando le somme questo Congresso servirà solo per fare
il punto dei dirigenti di Fatah nella posizione apparentemente migliore
per prendere il posto dell’81enne Abu Mazen. Marwan Barghouti è
considerato l’unico, alla luce del suo prestigio e delle sue capacità
organizzative e strategiche, in grado di rilanciare il movimento e
ridare un riferimento politico a una popolazione demotivata, scettica e
che nella spaccatura Fatah-Hamas/Cisgiordania-Gaza, vede uno degli
ostacoli principali alla realizzazione delle aspirazioni dei
palestinesi. Però Barghouti è in carcere ed è arduo credere che il
governo Netanyahu rimetta in libertà un palestinese con doti di leader e
stimato dalla sua gente. Jibril Rajoub in ragione dei voti ottenuti si
potrebbe considerare in pole position ma nessuno azzarda previsioni.
Fatah resta fragile e diviso, senza una strategia da opporre a quella di
Israele per il futuro dei Territori occupati.