il manifesto 5.12.16
Soddisfatti i bersaniani: «Ora il Paese deve essere riunificato»
«Era nell’aria, bastava parlare con la gente», commenta a caldo il capogruppo Pd a Bologna Claudio Mazzanti
di Giovanni Stinco
BOLOGNA
«Il No era nell’aria, bastava parlare con la gente». A dirlo poco dopo
le 23 è il capogruppo del Pd nel Comune di Bologna, Claudio Mazzanti.
Mazzanti è uno dei pochi dirigenti Pd che a livello locale ha deciso di
sfidare Renzi e dire No al suo referendum costituzionale. Tutti gli
altri, o almeno la stragrande maggioranza, si sono allineati, vuoi per
convinzione vuoi per disciplina di partito.
Il risultato è che in
Emilia-Romagna il partito si trova ad aver appoggiato una riforma che ha
spaccato in due il corpo elettorale. E che anche i militanti e i
simpatizzanti del Pd hanno digerito malissimo. All’una di notte i dati
dicono che la regione non salva Renzi, con una leggera prevalenza del
No. Bologna «la rossa» fa il suo dovere e segue le indicazioni di
partito: sotto le Due Torri il Sì viaggia attorno al 52%. La seguono
anche Reggio Emilia, Modena e Cesena. Ferrara, Rimini, Parma e Piacenza
scelgono invece il No.
Altissima la partecipazione popolare.
A
votare in regione il 76% degli aventi diritto, solo il Veneto ha fatto
meglio. Una partecipazione che nell’Emilia «rossa» non si vedeva da
tempo, e che scaccia il fantasma dell’astensionismo «monstre» delle
elezioni regionali di due anni fa. Il flusso ai seggi è stato così alto
che il confronto si può fare solo con le elezioni europee del maggio
2014 col loro 65% bolognese. Anche perché sei mesi dopo alle regionali
votò meno del 40%, un pesante flop.
Una scelta, quella degli
elettori per il No a livello regionale, che fino all’ultimo nessuno dava
per scontata. Proprio in Emilia aveva scelto di passare Renzi negli
ultimi giorni della campagna elettorale, radunando a Bologna 1.200
persone. Per il No invece erano passati sotto le Due Torri prima Civati,
che aveva messo assieme centinaia di militanti di «Possibile», e poi
Bersani, punta di lancia del No in casa democratica.
Se il corpo
elettorale dell’Emilia-Romagna ora si ritrova spaccato in due, la stessa
lacerazione c’è tra i militanti e i simpatizzanti del Partito
democratico. È il risultato di una campagna elettorale che in regione ha
diviso a metà quella che fino a poco tempo era una famiglia politica
unita, con militanti che in tasca avevano la tessera del Pd, dell’Anpi e
magari anche dell’Arci. E invece proprio l’Anpi emiliana nei mesi
scorsi ha picchiato duro sulla necessità di votare No, con tutto quello
che ne consegue in termini di rapporti con i dem e di presenze alle
feste dell’Unità. Resta da capire come si è mosso nel dettaglio
l’elettorato dem e come hanno reagito quei territori da sempre fortino
di Bersani e compagni. Ad esempio quella Bolognina conosciuta in tutta
Italia per la svolta del 1989, la stessa Bolognina «pronta a votare No»,
come annunciato a suo tempo da Mazzanti.
Resta da capire cosa
succederà ora in regione, anche in termini di equilibri politici
all’interno del Pd, da sempre il partito di governo. «L’Italia avrà
certamente un bel futuro», ha detto a una tv cinese che lo aspettava
fuori dal suo seggio bolognese Romani Prodi, il padre dell’Ulivo che,
dopo mesi di ostinato silenzio, ha preso posizione per il Sì alla
riforma. Ma ai cronisti locali il professore, che nel suo endorsement di
qualche giorno fa non ha esitato a definire «modesta» e confusa la
riforma, ha detto di sperare che «dopo questa campagna elettorale così
accesa si ricompongano le cose nel Paese».