il manifesto 2.12.16
Lettera aperta ai compagni di sinistra che voteranno Sì
di Aldo Carra
Questo
referendum sta lacerando il nostro mondo ed incrinando relazioni
politiche, personali, umane. Compagni che, in anni lontani, avevano
condiviso sogni, speranze e lotte e, più di recente, contrastato
l’attacco alle conquiste comuni, adesso si trovano incasellati in schemi
– cambiare/conservare, correre/ristagnare – nominalistici e manichei.
Cosa
è accaduto se ci stiamo dividendo proprio su temi – Costituzione,
cambiamento, decentramento – che pensavamo fossero patrimonio genetico
comune della sinistra e delle forze progressiste?
Tutti noi
volevamo cambiare la nostra Costituzione. Avevamo visto tante volte
leggi di progresso sociale e civile impantanarsi nei meandri del
bicameralismo perfetto e constatato che le forze conservatrici se ne
servivano per ritardare scelte laiche e progressiste. Ma anche noi di
sinistra, talvolta, ci eravamo serviti di quegli strumenti di contrasto e
di ostruzionismo. Era l’altra faccia della medaglia della democrazia.
Per questo ci eravamo convinti che la costituzione non la può cambiare
da solo chi governa e che andassero trovate soluzioni efficaci, ma
condivise.
A cosa ed a chi serve, oggi, andare da soli contro tutti?
Dobbiamo
uscire dalla palude, si dice. Certo. Cambiare è sempre stata parola di
sinistra. Ma noi quando ne parlavamo pensavamo di cambiare la società ed
anche noi stessi, la politica, i partiti, le organizzazioni di massa.
Perché avevamo visto, mentre la società cambiava, la classe politica
trasformarsi in ceto separato dai corpi sociali ed i partiti mutare
pelle, sradicarsi dai territori e dai luoghi di lavoro, diventare, da
luoghi di partecipazione ed emancipazione collettiva, comitati
elettorali per carriere politiche individuali e quindi permeabili alla
corruzione. Il cambiamento riguardava, quindi, la struttura dei rapporti
economici e sociali, ma anche noi stessi.
Perché, oggi, siamo
così decisi sulla costituzione mentre con gli aspetti più deteriori
della politica continuiamo a convivere ed anzi li premiamo purché a
sostegno del Si?
Un discorso analogo si può fare sul
decentramento. Dopo le oscillazioni tra centralismo e decentramento un
nuovo equilibrio Stato/Regioni va costruito. Insieme ad una
ridefinizione di ambiti e numero delle Regioni. Ma sappiamo che le
regioni hanno subìto una degenerazione che ha coinvolto anche le
sinistre.
Perché allora si lasciano invariati gli assetti, si
svuotano le funzioni e si elevano i membri dei consigli a senatori con
immunità?
Cari compagni, io condivido e capisco l’ansia di
rinnovare anche di fronte all’avanzare del populismo. Ma questa non può
essere una gara a chi arriva prima a coagulare il malessere che la crisi
della globalizzazione genera.
La nostra risposta deve essere sì
tempestiva, ma deve saper coinvolgere i soggetti della trasformazione
con un’operazione politica e culturale insieme.
Va in questa
direzione il fatto che la lacerazione di oggi segue scelte politiche che
hanno diviso il Pd al suo interno, il Pd da Sel, il Pd dalla Cgil, il
Pd dall’Anpi? Possibile che sono diventati tutti conservatori? E che
anche gli iscritti che si allontanano e gli elettori che si ritraggono
dal voto o approdano ad altre sponde politiche siano, anch’essi. tutti
conservatori? E da chi allora dovrebbe venire la legittimazione a
governare? Da forzature maggioritarie o da logiche referendarie e
plebiscitarie, da un rapporto non mediato leader-popolo?
Cari
compagni, io voterò No. Ma non lo farò perché Basta un No. Un No non
basta perché domani dovremo ricucire un tessuto lacerato e ricostruire
una prospettiva riformatrice.
Ma un No, penso, sia l’unico modo
per mantenere aperta la porta ad un nuovo progetto di trasformazione
della nostra società, ad una alternativa progressista al populismo, al
cambiamento ed alle riforme che volevamo. E dal 5 dicembre a questo
dovremo lavorare.
Perché il neopopulismo non è un pericolo da
agitare, per imitarne le logiche e per spaventare chi vota No, ma un
pericolo reale da combattere costruendo ponti e culture di unità e
solidarietà. A cominciare da sinistra.