Corriere 2.12.16
La norma che obbliga i poliziotti a riferire ai capi le indagini segrete
Indagini dei pm: i poliziotti devono riferire ai capi
Spataro: «Ci sono rischi di incostituzionalità»
«Norma a dir poco sorprendente», c’è il timore di fughe di notizie verso il governo
di Giovanni Bianconi
Ogni
poliziotto che consegna un rapporto alla magistratura deve comunicarlo
al superiore. La novità è nascosta in un decreto del 19 agosto.
ROMA
La norma è nascosta in un decreto legislativo di mezza estate che parla
d’altro, «Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni
di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato», approvato il
19 agosto scorso. Inserita all’articolo 18, tra le norme transitorie e
finali. Al quinto comma si stabilisce che l’inserimento dei forestali
nell’Arma dei carabinieri partirà dal 1° gennaio 2017. Poi ecco il
secondo periodo: «Entro il medesimo termine, al fine di rafforzare gli
interventi di razionalizzazione volti a evitare duplicazioni e
sovrapposizioni, anche mediante un efficace e omogeneo coordinamento
informativo, il capo della polizia-direttore generale della pubblica
sicurezza e i vertici delle altre forze di polizia adottano apposite
istruzioni attraverso cui i responsabili di ciascun presidio di polizia
interessato, trasmettono alla propria scala gerarchica le notizie
relative all’inoltro delle informative di reato all’autorità
giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del
codice di procedura penale».
Tradotto, significa che ogni
poliziotto, carabiniere o finanziere che consegna un rapporto o l’esito
di un accertamento alla magistratura, deve comunicarlo al suo superiore.
Il quale a sua volta informerà il proprio. Una novità che aggira,
attraverso un’esplicita deroga, il segreto sugli atti d’indagine fissato
dal codice. Giustificata dalla necessità di coordinare gli organismi
investigativi, evitare doppioni e razionalizzare le attività. Ma il
coordinamento spetta già ai pubblici ministeri titolari delle inchieste,
non ai capi dei corpi di polizia che a loro volta hanno rapporti
diretti con l’autorità politica, cioè i rispettivi ministri di
riferimento.
A ben vedere la norma estende alla polizia di Stato
ciò che il Testo unico dell’ordinamento militare del 2010 prevedeva per i
soli carabinieri: con parole quasi identiche, in una legge che affronta
tutt’altre questioni, si stabilì che debbano riferire alla «scala
gerarchica» le «informative di reato» comunicate alla magistratura. Ora
quella regola viene applicata a tutti i Corpi, e il capo della polizia
Franco Gabrielli ha diramato l’8 ottobre una circolare di cinque pagine
che illustra contenuti, modalità e limiti entro cui la polizia
giudiziaria dovrà adempiere a questo compito.
Seguendo la lettera
del decreto, si precisa che il nuovo obbligo scatta quando viene
trasmessa una notizia di reato, ma «non si esaurisce con la fase
dell’invio dell’informativa»; dura per l’intera inchiesta, e ricomprende
tutto ciò che «rappresenta uno sviluppo» dell’atto iniziale e«fino alla
conclusione dell’indagine preliminare». Tuttavia Gabrielli, che da
poliziotto ha svolto importanti indagini con l’autorità giudiziaria, si
mostra consapevole dei rischi connessi alla «limitata eccezione al
regime di riservatezza» introdotta, e chiarisce che dev’essere applicata
avendo cura di «preservare il buon esito delle iniziative di indagine
in corso».
Per questo motivo, secondo «i principi di
proporzionalità e di leale collaborazione istituzionale», il capo della
polizia specifica che «le comunicazioni alla scala gerarchica dovranno
essere circoscritte ai soli dati e notizie indispensabili a garantire un
adeguato coordinamento informativo». E raccomanda una «graduale
selezione delle comunicazioni, in modo da far affluire alla struttura di
vertice di ciascuna forza di polizia solo quelle riguardanti situazioni
che appaiono di particolare rilievo».
Una sorta di self-restraint
per salvaguardare i rapporti con la magistratura e non compromettere le
inchieste. Soprattutto quelle dai risvolti complessi o delicati, che
magari coinvolgono politici o persone legate agli apparati dello Stato.
Gabrielli delinea anche i singoli passaggi che dai «presidi
territoriali» devono risalire i gradini della scala gerarchica, fino
eventualmente ad arrivare, «verificatane la particolare rilevanza», al
direttore generale della pubblica sicurezza. Cioè lui stesso, al palazzo
del Viminale.
Più di un magistrato si mostra perplesso e
preoccupato per questa «norma a dir poco sorprendente», come spiega il
procuratore di Torino Armando Spataro: «Ci sono possibili profili di
incostituzionalità, ma c’è un contrasto anche con alcun norme del codice
di procedura che attribuiscono al pm il ruolo di dominus esclusivo
dell’indagine. Qui invece si stabilisce, attraverso un’evidente
forzatura, che un atto non ancora valutato dal pm finisca sul tavolo di
strutture direttamente dipendenti dal potere esecutivo. Così il segreto
investigativo rischia di diventare carta straccia». Secondo Spataro, «è
un’ulteriore evoluzione della generale tendenza a spostare ogni attività
verso l’esecutivo, persino la guida della polizia giudiziaria».
Sembra
trapelare il timore di fughe di notizie verso il governo, e il
procuratore spiega: «Non si tratta affatto di pregiudiziale sfiducia
verso i vertici delle forze di polizia, è invece un problema di sistema.
Tra l’altro, non è previsto alcun divieto per quei vertici di riferire
all’autorità politica. È vero che per l’Arma esiste già una normativa
simile, ma direttive interne richiamano la doverosa attenzione al
rispetto del segreto investigativo. In questo modo si rende obbligatoria
la comunicazione dell’esito delle indagini, e se ne amplia
l’applicazione. In alcune indagini a me è capitato di impartire l’ordine
scritto agli ufficiali di pg di non riferire ai propri superiori; in
questa nuova norma bisognerebbe almeno prevedere una simile
possibilità».