il manifesto 1.12.16
E chissà per quale miracolo, dopo sette anni il contratto
Pubblico
impiego. Aumento di 85 euro alla vigilia del referendum. Si tratta di
un incremento medio nel triennio, ma c'è l'impegno a valorizzare gli
stipendi più bassi. Nell'accordo quadro siglato dalla ministra Madia con
Cgil, Cisl e Uil anche il welfare integrativo e incentivi legati alla
presenza. Renzi incassa: #lavoltabuona
di Antonio Sciotto
Finalmente,
dopo sette anni di blocco e di cattiverie, un governo che ha a cuore le
buste paga dei dipendenti pubblici: e così ieri sera, a soli quattro
giorni dal referendum costituzionale, la ministra Marianna Madia ha
sottoscritto con Cgil, Cisl e Uil un accordo quadro per i rinnovi,
tavoli che concretamente partiranno dopo il voto. Ma intanto si è
fissata una cifra e una serie di criteri: 85 euro medi, con l’impegno a
garantire il mantenimento del bonus degli 80 euro, oltre all’innesto di
welfare integrativo sulla scia già aperta dai metalmeccanici e incentivi
legati alla presenza.
ERA STATO IL PREMIER Matteo Renzi, poche
ore prima, a dare il viatico all’intesa: «Ci chiedono un aumento di 85
euro per dire che la loro richiesta è più alta dell’offerta del governo.
Io dico bravi, ci siamo», aveva dichiarato lisciando il pelo ai
sindacati dopo due anni e mezzo di porte sbattute in faccia (così come
quelle dei suoi predecessori Berlusconi, Monti e Letta).
Puntuale,
subito dopo la firma, è arrivato il tweet del premier: «Dopo sette anni
#lavoltabuona per i dipendenti pubblici. Riconoscere il merito,
scommettere sulla qualità dei servizi #passodopopasso». I 3,3 milioni di
dipendenti pubblici sono preziosissimi per il 4 dicembre, e non è certo
il caso di insistere – come si è fatto un po’ per tutta la durata del
governo – sullo spinoso e divisivo capitolo dei «furbetti del
cartellino». D’altronde, proprio sul nodo dell’organizzazione e dei
dirigenti, il governo si era beccato solo qualche giorno fa una sonora
botta da parte della Corte costituzionale, che ha bocciato alcuni
pilastri fondamentali della legge Madia: quindi basta sottilizzare, è
arrivato il momento di vogare tutti nella direzione unica del
referendum.
L’impegno finanziario per rinnovare i contratti in
tutta la Pubblica amministrazione sarà pari 5 miliardi nel triennio
2016-18, hanno fatto sapere i sindacati uscendo dall’incontro. Per la
tranche da erogare nel 2017 sarebbero stati stanziati intanto 850
milioni di euro.
LA CGIL IN UNA NOTA ha esposto alcuni contenuti
dell’accordo: «Le soluzioni salariali indicate nelle linee guida fanno
riferimento a un aumento contrattuale di 85 euro medie mensili per il
triennio 2016-2018 – spiega il sindacato – Si è inoltre convenuto di
trovare una soluzione che tuteli le retribuzioni dei lavoratori
garantendo che gli aumenti contrattuali abbiano efficacia per tutti
senza che possano incidere sul bonus di 80 euro».
La ministra
Madia si è anche impegnata a risolvere – o perlomeno intanto ad
affrontare – la questione precari, dalla proroga dei contratti esistenti
fino a una possibile stabilizzazione: «Di particolare valore – dice la
Cgil – la garanzia assunta dal governo di rinnovare i contratti dei
lavoratori precari assunti dalle pubbliche amministrazioni in scadenza e
l’impegno a superare con apposite norme il precariato all’interno della
Legge quadro che dovrà essere prossimamente varata».
SECONDO UNO
STUDIO diffuso ieri dall’Unione nazionale consumatori, i dipendenti
pubblici dal 2010 al 2015, a causa del blocco degli stipendi deciso dal
governo Berlusconi e poi sempre confermato, hanno perso circa 4 mila
euro lordi pro capite. Nel giugno 2015 una sentenza della Consulta aveva
dichiarato illegittimo il blocco, senza però obbligare lo Stato a un
risarcimento: sarebbe bastato solo riaprire i tavoli. Impossibile, con i
300 milioni stanziati l’anno scorso, pari a una pizza ciascuno.
Nell’accordo
quadro, il governo si impegna a modificare il Testo unico del lavoro
pubblico «di intesa con le regioni», e nel rapporto tra legge e
contrattazione, a «privilegiare la fonte contrattuale».
PRODUTTIVITÀ:
impegno a rimettere mano ai fondi per la contrattazione di secondo
livello, il salario accessorio, e di promuovere anche nel pubblico «una
fiscalità di vantaggio» per la produttività. Si apre anche al welfare
integrativo, dai fondi pensione alla sanità. Si parla di «misure
contrattuali che incentivino più elevati tassi medi di presenza».
Quanto
agli aumenti del contratto nazionale, si valorizzeranno i «livelli
retributivi che maggiormente hanno sofferto la crisi economica e il
blocco della contrattazione». La logica è quella della piramide
rovesciata, per cui si favorisce chi ha di meno. Non a caso si parla di
aumenti «non inferiori a 85 euro mensili medi» e di «riduzione della
forbice» retributiva, senza «penalizzazioni indirette» per i beneficiari
del bonus Irpef di 80 euro.