il manifesto 1.12.16
Intellettuali in campo per Fidel
Cuba. Scrittori, musicisti, filosofi a scuola di Revolucion
di Geraldina Colotti
Stratega
militare, politico, però anche intellettuale. «Raro caso di un capo di
stato sempre disposto ad ascoltare e a discutere, senza mai la superbia
che tanto spesso ottunde la capacità di comprendere dei leader».
Nell’obituary su Fidel Castro, l’intellettuale argentino Atilio Boron ne
ha ricordato anche l’alto profilo intellettuale: «Come Chavez, Fidel
era un uomo coltissimo e un lettore insaziabile. La sua passione per
l’informazione esatta era minuziosa e inesauribile». Boron, una delle
voci più presenti nel nuovo corso bolivariano dell’America latina, ha
raccontato «l’immensa fortuna» di aver assistito a «un intenso ma
rispettoso scambio di idee tra Fidel e Noam Chomsky a proposito della
crisi dei missili dell’ottobre ’62 o dell’Operazione Mangusta». In
nessun momento «l’anfitrione fece orecchie da mercante a quel che diceva
il visitatore nordamericano».
LA CRISI DEI MISSILI fu uno dei
momenti più critici della Guerra fredda tra Stati uniti e Unione
Sovietica, che seguì al tentativo di invadere Cuba, nell’aprile del ’61,
e portò al dispiegamento difensivo di missili nucleari sovietici
nell’isola. Come attestano documenti Usa desecretati, l’Operazione
Mangusta venne approvata da Kennedy il 18 gennaio del ’62, con lo scopo
di «aiutare i cubani a rovesciare il regime comunista a Cuba e istituire
un nuovo governo con cui gli Stati uniti possono vivere in pace». Si
prevedevano quattro compiti per azioni di intelligence, sei di tipo
politico, tredici relativi alla Guerra economica, quattro a quella
Psicologica e quattro di tipo militari, con l’obiettivo di giustificare
un’invasione dell’isola da parte dell’esercito Usa.
IN QUEGLI ANNI
arrivavano all’Avana intellettuali da ogni parte del mondo: scrittori,
pittori, musicisti… E al ritorno dedicavano un omaggio a Cuba. Leonard
Cohen, scomparso a novembre, arrivò all’Avana pochi giorni prima
dell’invasione della Baia dei Porci. Vent’anni dopo, ha ricordato la
figura di Fidel Castro nelle note surrealiste della canzone «Field
commander». Nel ’61, Fidel Castro tiene il primo discorso storico agli
intellettuali.
DÀ CONTO di «tre sessioni» di accese discussioni,
che metteranno le basi per la politica culturale degli anni a venire:
«Noi siamo stati agenti di questa Rivoluzione, della rivoluzione
economico-sociale che si sta tenendo a Cuba – dice Fidel – A sua volta,
questa rivoluzione economico-sociale deve produrre una rivoluzione
culturale». Da lì, il «punto più polemico della questione: se deve
esserci o no un’assoluta libertà di contenuto nell’espressione
artistica».
UN TEMA che, negli anni più complicati della
rivoluzione cubana, porterà gli intellettuali a schierarsi. «Nel 1961 –
scrive il compianto scrittore Manuel Vazquez Montalban – la Rivoluzione
cubana era coccolata dall’intelligencia di sinistra di tutto il mondo e
l’Avana come Mosca nel 1920 fu la Mecca di tutti i trasgressori di
codici del mondo, che cercavano in Cuba un nuovo destinatario sociale
capace di intendere il nuovo». E ricorda il viaggio che fecero Jean-Paul
Sartre e Simone de Beauvoir, che definirono Fidel Castro «un amico».
TUTTAVIA,
la prima grande incrinatura si produsse nel 1971, di fronte al gruppo
di scrittori che appoggiarono Heberto Padilla, i quali ritenevano che la
rivoluzione avesse tradito. «Quale dev’essere la prima preoccupazione: i
pericoli reali o immaginari che possono minacciare il libero spirito
creatore, o i pericoli che possono minacciare la Rivoluzione stessa?
Dentro la rivoluzione, tutto, contro della rivoluzione, niente», diceva
Fidel agli intellettuali, nel ’61. Molti scelsero di sostenere Cuba
purchessia, altri le voltarono le spalle, magari per ritornare sui loro
passi molti anni dopo.
IL RUOLO di Cuba nei cambiamenti
strutturali del continente, ha però rimesso in campo un nuovo
immaginario, una nuova mitopoiesi «bolivariana» nutrita dai punti più
alti e poliedrici portati dai nuovi movimenti latinoamericani. Si è
creata la Rete mondiale degli intellettuali e artisti in difesa
dell’umanità, guidata da Venezuela e Cuba, e un laboratorio di pensiero –
anche critico, ma fraterno – che va dall’Europa al Latinoamerica, agli
Usa, e che si è fatto sentire in questi giorni per ricordare l’apporto
di Fidel.