il manifesto 1.12.16
«Fidel soy yo», l’urlo di Cuba
Hasta
Siempre. Oltre un milione di cubani ha invaso l’Avana per il saluto al
«lìder maximo». Dall'Europa unico leader, Alexis Tsipras
di Roberto Livi
«Donde
está Fidel?» domanda il presidente del Nicaragua, Daniel Ortega. «Aqui,
yo soy Fidel» risponde un boato che scuote l’Avana. È la voce di più di
un milione di persone, una valanga umana che riempie la gigantesca
Piazza della Rivoluzione, debordando poi per un lungo tratto del viale
d’accesso. Una marea tutt’altro che amorfa, quella che ieri sera per
quasi quattro ore ha animato la cerimonia per l’estremo saluto
dell’Avana al Comandante della Rivoluzione cubana. Sventolio di
bandiere, canti – «Fidel, qué tiene Fidel que los americanos no pueden
con él» -, applausi e qualche lacrima e il ritmare di quello slogan col
quale un popolo intero vuole identificarsi col suo leader e il suo
lascito politico: «Io sono Fidel».
JOSÈ MARTÌ Più in alto, sotto
la grande statua di José Martí, di fronte all’entrata del mausoleo
dedicato al padre della patria di Cuba, la tribuna delle autorità cubane
e soprattutto degli ospiti, che ha visto riuniti i membri delle
delegazioni di capi di Stato e di governo, più di venti, o di inviati
dei paesi di quattro continenti, America, Europa, Asia e Medioriente e
Africa. In prima fila i rappresentanti dell’Alleanza bolivariana, con il
presidente venezuelano Nicolás Maduro – simbolicamente seduto alla
destra del presidente Raúl Castro (in uniforme da generale) – e i
colleghi della Bolivia, Evo Morales, dell’Ecuador, Rafael Correa, del
Nicaragua, Daniel Ortega, affiancati dal presidente del Salvador,
Salvador Sánchez Céren-, dal messicano Enrique Peña Nieto e dal
panamense Juan Carlos Varela. L’Africa australe era rappresentata dai
presidenti del Sudafrica e della Namibia.
SCARSE le rappresentanze
di altri paesi. A dimostrazione che, anche da morto, Fidel polarizza
gli schieramenti, tra chi lo giudica un gigante del XX secolo che ha
contribuito a «cambiare il volto dell’America latina e a influenzare il
mondo» e chi, soprattutto leader di paesi entusiasticamente
neoliberisti, lo ritiene un «caudillo» che ha imposto a Cuba un regime
totalitario. La Spagna era rappresentata da Juan Carlos di Borbone e
l’Ue dal premier greco Alexis Tsipras.
Il presidente Obama non ha
voluto sfidare le ire dei repubblicani e ha inviato a rappresentarlo il
diplomatico Jeffrey DeLaurentis e Ben Rhodes, il consigliere alla
Sicurezza che ha partecipato alle trattative per la normalizzazione dei
rapporti con Cuba. Assente anche il presidente russo Vladimir Putin che
ha inviato il presidente della Duma, Volodin, a rappresentarlo.
UNA
PROVA visibile, comunque, di quanto ha affermato nel suo intervento il
presidente della Bolivia, Evo Morales: «Fidel ha portato Cuba nella
mappa politica del mondo, lottando contro l’avidità dell’impero. E oggi
il mondo riconosce Fidel come un figura politica di taglia
inacessibile». Un successo e un credito davvero eccezionali per un’isola
di 11 milioni di persone che , fino alla vittoria dei «barbudos» di
Fidel nel 1959, era nota soprattutto per gioco d’azzardo, prostituzione e
la produzione, monopolizzata dagli Usa, di zucchero. Correa ha
affermato che Fidel «è morto invitto» e ha duramente criticato l’embargo
degli Usa. «Poche vite sono state tanto complete e luminose. Fidel non
se ne va, resta con noi, assolto dalla Storia della patria grande»
(latinoamericana), ha detto il presidente Maduro, assicurando Raúl
Castro che «può contare oggi più che mai sull’appoggio del Venezuela».
Il vicepresidente della Cina ha definito il leader scomparso «un colosso
della storia».
Particolarmente emotivi sono stati gli interventi
del presidente del Sudafrica, Jacob Zuma e della Namibia, Hage Gengob.
Il primo ha messo in risalto l’importanza dell’intervento militare
cubano – «con quasi mezzo milione di soldati» – in Angola nella seconda
metà degli anni Settanta del secolo scorso per contrastare l’invasione
delle truppe del Sudafrica in quegli anni governato dai fautori
dell’apartheid. La vittoria cubana comportò non solo la sovranità
dell’Angola, «ma anche la decolonizzazione della Namibia e la sconfitta
del regime razzista» a Pretoria. «Fidel non inviò le sue truppe per
impadronirsi del petrolio, dell’oro o dei diamanti – ha detto Zuma – ma
per la libertà e l’indipendenza dei nostri popoli». Tesi confermata dal
presidente Gengob: «Quando incontrai Fidel mi disse che dall’Africa
avevano portato via solo i resti mortali dei loro soldati».
COMMOVENTE
e ripetuto è stato il continuo richiamo alla solidarietà che Fidel,
«nonostante l’illegale blocco economico degli Usa», ha saputo assicurare
a varie nazioni e popoli: «Ha inviato personale medico e ha formato a
Cuba centinaia di nostri studenti di medicina» (Jacob e Gengob), «per il
Vietnam si è detto disposto a dare anche il proprio sangue» –
(presidente della Camera dei deputati Nguyen Thi) – «dopo un ciclone
dimostrarono che con noi erano disposti a dividere il pane» (Daniel
Ortega).
La gigantesca manifestazione è stata conclusa
dall’intervento del presidente Raúl, il quale ha avuto anche un inatteso
motto di spirito assicurando i partecipanti che il suo era «l’ultimo
intervento». Un discorso asciutto, che ha ricordato come la piazza della
Rivoluzione è stata il luogo dove il fratello maggiore ha annunciato e
spiegato tutte le decisioni del suo governo, dalla riforma agraria –
«che è stata come passare il Rubicone» – alla dichiarazione del
carattere socialista della Rivoluzione.
L’ITALIA «È stata una
grande manifestazione di orgoglio nazionale in memoria di un personaggio
storico del XX secolo che ha saputo conquistare e difendere
l’indipendenza del suo paese», ha dichiarato il viceministro degli
Esteri Mario Giro che ha rappresentato il governo italiano. «Un governo
che è stato sempre amico di Cuba, pronto a collaborare nei settori
economici, commerciali e culturali».
Ieri mattina è partita dalla
capitale la carovana funebre che porterà l’urna di legno rivestita dalla
bandiera di Cuba all’interno di una teca di vetro che contiene le
ceneri di Fidel lungo tutta l’isola fino a Santiago dove saranno inumate
domenica. Lungo tutto il percorso – circa 900 chilometri – si prevede
una fila ininterrotta di cubani per salutarlo.