il manifesto 15.12.16
Lotta di classe dall’alto, aumentano disuguaglianze e povertà
Rapporto
Bes/Istat . Redditi e relazioni sociali in peggioramento. Il lavoro è
sempre più precario, con voucher e Jobs act. E la diseguaglianza resta
quella del 2013, la più alta del decennio. Le mance renziane ai privati,
i bonus populisti alle categorie, hanno contribuito all’aumento delle
diseguaglianze
di Roberto Ciccarelli
Il quarto
rapporto sul benessere equo e sostenibile (Bes) pubblicato ieri
dall’Istat conferma la relazione politica asimmetrica prodotta dalla
crisi iniziata nel 2008. Nel 2015 in Italia le diseguaglianze sono
cresciute mentre continua la concentrazione della ricchezza – non da
lavoro, ma da capitale – in una parte ultra-minoritaria della
popolazione. I dati Bes vanno letti in una cornice globale perché
confermano l’esistenza dello squilibrio economico più grande dagli anni
1910-1920 a oggi. Per l’economista Thomas Piketty, questa è la premessa
per la costruzione di una civiltà dominata da traders, super-ricchi,
multinazionali che dominerà la scena globale da oggi al 2050-2100.
Il
rapporto Bes aggiunge alcuni decisivi elementi alla lotta di classe
dall’alto – la definizione è di Luciano Gallino. Anche se il Pil cresce,
non modifica le diseguaglianze. La crescita c’è, ma non si vede, se non
in un piccolo recupero del potere di acquisto. L’elemento che produce
questa separazione tra i dati macroeconomici e la materialità delle
condizioni di vita è il lavoro precario. L’11,7% delle persone vive in
famiglie dove i redditi sono aleatori.
A Sud la percentuale quasi
raddoppia: il 20,3%. Ci troviamo in una situazione paradossale: da un
lato si riduce la quota di famiglie in condizioni di vulnerabilità
finanziaria (da 4,8% nel 2012 a 3,6% nel 2014) e il numero degli
indebitati; dall’altro lato aumenta la quota di persone a rischio di
povertà dal 19,4% al 19,9%, mentre la povertà assoluta colpisce 4
milioni e 598 mila persone e interessa le coppie con due o più figli e
le famiglie di cittadini stranieri.
La crescita che è tornata a
fare capolino nell’economia – producendo grandi illusioni soprattutto
nel governo Renzi travolto dal referendum del 4 dicembre – non produce
occupazione stabile, né redditi duraturi. In altre parole non incide e,
anzi, aumenta le disuguaglianze. Nel 2015 il loro valore è identico a
quello del 2013, il più alto dell’ultimo decennio. Rispetto alla media
europea, l’Italia è il paese dove le diseguaglianze sono cresciute di
più da quando è iniziata la crisi: nel 2015 il rapporto tra il reddito
percepito dal 20% della popolazione con i redditi più alti e il 20% con i
redditi più bassi è pari a 5,8 in Italia, contro una media continentale
del 5,2.
L’economista Andrea Fumagalli parla di «trappola della
precarietà»: più aumenta il lavoro precario e senza tutele, più
aumentano povertà e diseguaglianze. Questo circuito si auto-alimenta e
crea i working poors, i lavoratori poveri. Per Chiara Saraceno sono di
due tipi: chi lavoro con i voucher (1,380 milioni nel 2015) e tutti
coloro che prendono un salario al di sotto di quello minimo. E poi ci
sono i lavoratori poveri su base familiare. Le famiglie monoreddito sono
numerose, non esiste un significativo sostegno per l’occupazione
femminile, né servizi o trasferimenti universali per sostenere i costi
dei figli. Manca un sistema di tutela universale contro il precariato e
la disoccupazione di medio e lungo periodo.
E il governo Renzi ha
follemente sprecato 10 miliardi all’anno per il bonus degli 80 euro che
non è andato né ai precari, né ai lavoratori autonomi. Una misura
concepita per discriminare i lavoratori (dipendenti contro precari e
autonomi) e aumentare le diseguaglianze tra le generazioni. Lo stesso
criterio ha ispirato il Jobs Act.
Com’è noto, la flebile crescita
dell’occupazione è stata causata dagli 11 miliardi di sgravi pubblici
triennali alle imprese. Soldi che hanno «drogato» un mercato dove non
c’è domanda. Sono stati assunti, in maggioranza, lavoratori over 50
(+2%) – trattenuti al lavoro dalla riforma Fornero – e penalizzati gli
under 49. L’occupazione è cresciuta tra i giovani 20-34enni (+0,2 punti)
perché più intensa è stata la produzione di lavoro precario. Le mance
renziane ai privati, i bonus populisti alle categorie, hanno contribuito
all’aumento delle diseguaglianze.