il manifesto 13.12.16
Tortura (tra legge e sadomasochismo)
di Alberto Leiss
L’Italia
resta un paese che, nonostante i cogenti richiami europei, non ha
ancora una legge che condanni il reato di tortura, in particolare se
commesso da personale delle forze dell’ ordine, e da funzionari statali,
che dovrebbero invece tutelare i basilari diritti di libertà dei
cittadini.
Adriano Prosperi lo ricorda nel libro appena uscito
«Tortura fuorilegge» edito da Forum e curato da Andrea Lucatello e Laura
Morandini, animatori di un centro di impegno culturale a Udine molto
vivace , che pubblica la bella rivista Multiverso
(www.multiversoweb.it).
Prosperi – tra gli altri – denuncia il
fatto che nella formulazione della legge attualmente parcheggiata in
Parlamento il riferimento alle forze dell’ordine è stato eliminato, e la
tortura è riferita come reato a qualunque cittadino eserciti
coercizione, minacce e violenze verso altri. E questo nel paese dei vari
casi Cucchi, e soprattutto della gravissima serie di violenze e torture
inflitte dalle «forze dell’ordine» durante il G8 del 2001 a Genova.
Un
riferimento che attraversa molte pagine del libro, soprattutto
nell’intervista di Andrea Lucatello a Daniele Vicari, regista del film
Diaz, che ha rievocato quella vicenda ponendo di fatto la questione se
quella ferita profonda inferta allo stato di diritto e alla consistenza
stessa della nostra libertà si sia mai più rimarginata.
La
risposta oscilla tra il dubbio e la negazione. Tanto più che gli esiti
giudiziari solo in parte hanno individuato responsabilità e chiarito la
dinamica dei fatti, restando solo la verità delle testimonianze di chi
la violenza e la tortura l’ha subita.
Due mesi dopo l’esplosione
di quella violenza di stato in Italia arrivava il crollo delle Torri a
New York e l’avvio di una guerra infinita al terrorismo, che in effetti è
ancora aperta, nel corso della quale il ricorso legale alla tortura è
stato sostenuto da filosofi liberal come Michael Walzer, e da noi da
commentatori in teoria liberali come Angelo Panebianco.
Nel libro
lo ricordano Livio Pepino e Donatella di Cesare, che nel suo intervento
pone la controversa questione di una «democratizzazione» del ricorso
alla tortura, sia nel senso di una sua giustificazione in momenti di
emergenza, di stato di eccezione si potrebbe dire, sia in quello di una
sua normalizzazione sotterranea, nonostante le leggi e le convenzioni
internazionali la ripudino come pratica inammissibile in uno stato di
diritto.
Quando anticamente la tortura era considerata uno
strumento lecito e legale essa era anche visibile, e spettacolarizzata
proprio per renderla «efficace», ma anche regolata in modo preciso per
contenerne gli effetti violenti sulle vittime. Oggi il rischio accertato
è che al divieto si accompagnino forme segrete e ancora più disumane di
torture.
Per Ida Dominijanni , che ha presentato «Tortura
fuorilegge» a Roma nei giorni scorsi, siamo a una
«governamentalizzazione» della tortura, com’è tipico del contesto
neoliberale. La legge per lo più la vieta, ma viene praticata secondo la
regola aleatoria del «dipende da…»- le condizioni di volta in volta
valutate da chi detiene il potere della «governance». Non senza il caso
di spettacolarizzazioni spontanee, come avvenne da parte di soldati e
soldatesse americane a Abu Graib, in Iraq.
E qui arriviamo a come
ognuno di noi vive questo genere di «spettacolo» e di informazioni. Il
moto di indignazione non sempre produce una adeguata mobilitazione
politica – è successo anche all’inizio del caso Regeni – e in questo
tipo di esitazione soggettiva bisogna avere il coraggio di non rimuovere
il peso inconscio del rispecchiamento sadico e masochista nel carnefice
e nella vittima. Soprattutto quando ci si rassegna alla violenza del
potere.