il manifesto 11.12.16
Congresso subito verso il voto, Renzi a caccia della magia perduta
Democrack.
La minoranza presa in contropiede, ora alla ricerca di un nome
competitivo. Ipotesi Orlando sfumata. a il malumore è soprattutto per il
nuovo governo: «Serve discontinuità, è questo il messaggio del No»
di Daniela Preziosi
È
una decisione subito, in contropiede, quella dell’avvio del congresso
da far ratificare all’assemblea nazionale convocata domenica 18
dicembre. Poi subito via a una nuova campagna elettorale, lunga,
lunghissima, prima per tre mesi verso le primarie (le discussioni e il
voto dei circoli, poi i gazebo) e forse subito dopo la campagna per le
politiche.
Matteo Renzi parte alla riconquista del partito che in
realtà non ha mai perso. Ma la ’botta’ della sconfitta referendaria di
domenica scorsa è stata forte. Lo sbandamento nel partito si fa sentire.
Il segretario ha bisogno di una nuova legittimazione per partire poi di
nuovo alla volta di Palazzo Chigi. Soprattutto ha bisogno di
riaccendere la «magia» dei primi tempi, di riconquistare l’aura del
vincente ormai molto sbiadita. In più, ultimo ma non ultimo, ha bisogno
di stoppare le grandi manovre dei capicorrente che nell’ultima settimana
hanno dato piccoli segni di grande insofferenza, che se non stoppati
potrebbero portare allo sganciamento dalla maggioranza.
La
decisione è tutta sua. Il segretario del Pd ormai ignora senza alcuna
preoccupazione le liturgie del partito. Non ha aspettato neanche la
direzione convocata domani a mezzogiorno per comunicare la scelta. Il
disagio per questo stile ormai nel Pd si taglia con il coltello. E si
intreccia con quello per a gestione della crisi. La minoranza giura che
aspetterà la direzione per discuterne, ma il malumore per l’esclusione
degli organismi di partito dalle decisioni e insomma l’ennesima
accelerazione personale, simboleggiata da quelle ’consultazioni
parallele’ che da due giorni si svolgono a Palazzo Chigi, alla fine
filtra. «Roba da Prima Repubblica. Alla faccia della direzione convocata
in modo permanente. Nessuna discussione. Nulla», c’è chi si lamenta.
Il
congresso anticipato era comunque nell’aria. «Si sapeva che avrebbe
tentato subito una rilegittimazione», spiega un bersaniano di rango. Ma,
è il ragionamento, a questo punto si tratta di «un congresso per
discutere di cosa deve essere il Pd o solo una resa di conti interna? Il
problema è che qui a rischio non sono i destini personali, qui si sta
mettendo a rischio il Pd». Ma è il senno di poi a parlare. Era stata la
stessa minoranza, fino a qualche settimana fa, a chiedere il congresso
anticipato. Richiesta incauta, che ora si ritorce contro i suoi autori.
Le
principali aree del partito (franceschiniani, giovani turchi) si
starebbero riorientando per restare a fianco di Renzi. Per loro il
problema potrebbe però essere quello di ’pesarsi’. Non è escluso un
appoggio per liste separate. Molto si giocherà sulle regole della
competizione, tutte da scrivere.
Più complicata la situazione
della minoranza bersaniana. È ormai persa la speranza di un accordo con
il ministro Andrea Orlando, considerato l’unico competitivo su Renzi. In
un clima di scontro interno sempre più duro – sui social compaiono
pagine anonime intestate a slogan come ’Fuori subito’ che lanciano
avvisi ai «traditori» – i bersaniani si ritroveranno a fare una
battaglia difficile con il candidato fin qui considerato ’naturale’,
Roberto Speranza, il giovane ex presidente dei deputati. Tanto più che
il governatore Enrico Rossi, da mesi autodichiaratosi in corsa per la
«sinistra», non dà segni di volersi ritirare. La sua candidatura è
vissuta con fastidio dai bersaniani, convinti che sia un modo per
sfilare voti a vantaggio di Renzi. Si fa avanti anche Michele Emiliano,
governatore della Puglia uscito vincitore dal referendum (alla fine si è
rumorosamente schierato per il No).
Ma se la fotografia delle
forze in campo resta questa, la vittoria di Renzi è sicura. A fine marzo
dunque potrebbe esserci un segretario di nuovo saldamente in sella e
pronto per tornare al voto. Nel giro di due mesi. Sempreché nel
frattempo ci sia una nuova legge elettorale. Cosa per nulla scontata.
Non
è solo il congresso anticipato a mettere di malumore la minoranza. C’è
anche la scelta del prossimo presidente del consiglio, che ormai sembra
essere indirizzata sul ministro Paolo Gentiloni. E l’idea, viene
spiegato, «di un governo a tempo per correre verso il voto anticipato
alla ricerca di chi sa quale rivincita». «Il 4 dicembre ci è arrivato un
messaggio dagli elettori. Cosa gli rispondiamo? Renzi sta chiuso a
palazzo Chigi con i protagonisti della disfatta di domenica scorsa tra
correnti e spifferi che nemmeno la Prima Repubblica».
Per il 17
dicembre la minoranza ha convocato un’assemblea aperta per chiedere
«discontinuità» con la linea del governo Renzi. A prescindere dal nome
del prossimo premier. «Si parla molto di totonomi. Se invece parlassimo
del che fare? Altrimenti il messaggio è che la lezione del 4 dicembre
non la abbiamo proprio compresa», spiega Speranza. Ma per quel giorno la
fiducia al nuovo governo sarà già stata votata.