il manifesto 10.12.16
Renzi sceglie Gentiloni e vuole l’election day entro giugno
Crisi.
Il Quirinale non esclude l’ipotesi Padoan, ma il segretario del Pd
vuole provare a tenersi tutte le carte con un governo fotocopia. Per
tutto il giorno a Palazzo Chigi si fanno «consultazioni parallele» a
quelle di Mattarella. Si pensa già ai ministri. Ma la strada è meno
facile di quanto sembri
di Andrea Colombo
ROMA A
metà pomeriggio Paolo Gentiloni è già con un piede a palazzo Chigi. Poi
spunta un ostacolo. Il Colle insiste perché il successore di Renzi sia
il ministro dell’Economia Padoan.
Le considerazioni che motivano
il capo dello Stato sono chiare: si tratta dello stesso vento europeo
che ha caratterizzato tutta la giornata di ieri e impresso una brusca
accelerazione alla risoluzione della crisi, cioè la minaccia che grava
sull’intero sistema bancario, tanto più impellente dopo che la Bce ha
rifiutato il rinvio della ricapitalizzazione Mps.
Impossibile però
dire con quanta determinazione Mattarella intenda sostenere la sua
opzione. Renzi di certo fa muro. L’idea di un premier senza partito come
Padoan e con alle spalle l’incarico di consigliere economico della
Fondazione Italianieuropei sia con Amato che con D’Alema lo spaventa
troppo.
Gentiloni resta così il superfavorito e, salvo molto improbabili irrigidimenti del Colle, sarà il nuovo premier.
Al
risveglio, ieri, Renzi accarezzava ancora il miraggio di un reincarico
che però non poteva chiedere. L’unica via sarebbe stata un
ingarbugliarsi della crisi tale da farlo «richiamare in servizio» e da
permettergli di accettare solo «in nome del pubblico interesse».
Era
un sentiero strettissimo: nelle consultazioni il presidente ha infatti
trovato modo di definire del tutto infondate le notizie che lo volevano
deciso a insistere per il ritorno di Renzi e anche di spiegare che un
Renzi-bis sarebbe stato «divisivo» e avrebbe complicata invece di
semplificarla la ricerca di una legge elettorale. Poi è arrivata la
bomba Mps e anche le ultime speranze di Renzi sono scomparse.
È
così partito un vorticoso giro di incontri a Palazzo Chigi, con Padoan,
Gentiloni, Martina, Orfini, e di telefonate, con Franceschini e Delrio.
Sul tavolo non più la scelta del primo ministro ma direttamente la definizione dei ministri e dei tempi del varo.
L’idea
è quella di un governo quasi fotocopia, con poche sostituzioni,
probabilmente quella della Lorenzin alla Pubblica istruzione, qualche
uscita, in particolare quella di Maria Elena Boschi il cui ministero non
ha più ragione di esistere, e la riconferma dei ministri principali:
Padoan, Orlando, Franceschini, Delrio.
Soprattutto però a Renzi
preme che resti al suo posto Luca Lotti: in tempo di nomine vuole
mantenere la presa salda. Nel tardo pomeriggio il ministro degli Esteri è
poi tornato a palazzo Chigi, quasi a ricevere materialmente la scelta
del dimissionario.
Anche sui tempi Renzi è tassativo. Gentiloni
dovrebbe far nascere un governo con la data di scadenza: in tempo per
votare entro il 15 giugno. In realtà più che una vera road map, quella
squadernata a palazzo Chigi ieri è una lista di desiderata e forse di
chimere.
Con Mattarella fermo nella decisione di non sciogliere la
legislatura prima che sia stata varata una vera legge elettorale e con
una tempesta perfetta che minaccia il sistema finanziario, senza contare
la comprensibile resistenza dei parlamentari a tornarsene a casa,
l’idea di fissare in anticipo una data certa per le elezioni rivela solo
quanto grave sia la sindrome di onnipotenza di cui soffre Matteo Renzi.
«Il
problema – dicono neppure più troppo sottovoce nei gruppi parlamentari –
è che non ha capito di aver perso il referendum. Pensa di averlo vinto e
si comporta di conseguenza».
La stessa composizione del governo
potrebbe rivelarsi più ostica del previsto. Se Gentiloni, considerato
vicinissimo a Renzi, sarà premier, l’idea di accostargli come
sottosegretario un altro renziano a prova di bomba come Luca Lotti
potrebbe incontrare qualche ostacolo, tanto più che nel nuovo quadro
politico delineatosi dopo il referendum Renzi non potrà più comportarsi
come il padrone assoluto del Parlamento e del Paese quale di fatto è
stato per mille giorni.
Oggi si concluderanno le consultazioni, entro domani l’incarico.
Tra
i colloqui che in giornata si susseguiranno sul Colle due sono
centrali: quello con Sinistra italiana e quello con Forza Italia, la cui
delegazione sarà guidata da Berlusconi.
Tutti gli altri
chiederanno infatti elezioni subito e, almeno in prima battuta,
rifiuteranno di sedersi al tavolo della legge elettorale. Il dialogo
inizierà dunque tra i partiti di maggioranza, la sinistra e soprattutto
il partito azzurro. Ma non è affatto escluso che, dopo aver portato a
termine la sceneggiata di rito, M5S decida invece di dire la sua in
materia di legge elettorale. Si tratterebbe di un passaggio essenziale,
anche se il ritorno a un sistema proporzionale, per quanto temperato e
corretto, sembra sia davvero l’unica via percorribile.
Fi, però,
dovrà dire qualcosa in più. Nessun dubbio sul rifiuto del Cavaliere a
entrare in una maggioranza. Ma certamente Mattarella cercherà di
strappargli almeno l’impegno a fare un’opposizione «responsabile». O
morbida che dir si voglia.