Corriere La Lettura 4.12.16
Picasso allarga il Mediterraneo
Nel febbraio 1917 cominciava il suo personale Grand Tour
Quel viaggio in Italia cambierà la sua visione dell’arte,
che si aprirà alla Grecia e agli Etruschi, alla ceramica e all’eros
di Stefano Bucci
Da
quel suo breve Grand Tour d’Italie (nemmeno otto settimane incominciate
il 17 febbraio 1917) l’ancor giovane Pablo era tornato comunque
cambiato. A Roma, mentre preparava i costumi e le scene per i Ballets
Russes di Diaghilev, aveva conosciuto Olga Kochlova (ballerina mediocre,
di una bellezza e di un’intelligenza così mediocri da fargliela
sembrare esotica almeno secondo la controversa biografia pubblicata da
Arianna Stassinopoulos nel 1988) che qualche mese dopo sarebbe diventata
la sua prima, infelicissima moglie. A Napoli, grazie all’ Ercole
Farnese e all’ Antinoo del Museo Archeologico (ma anche ai misteriosi
affreschi delle ville di Pompei), aveva definitivamente messo a punto
quella sua voglia di classicità che già nelle Stanze del Vaticano gli
aveva fatto scoprire Raffaello (del maestro avrebbe amato moltissimo La
Fornarina ). A Firenze, nell’unico giorno trascorso lì, sarebbe invece
andato in giro con Alberto Magnelli, scoprendo (tra l’altro) il Giorno e
la Notte scolpiti da Michelangelo per la Sacrestia Nuova di San
Lorenzo.
Se Pablo non fosse stato Picasso, più o meno «il massimo
artista del XX secolo», quell’incontro con l’universo italiano sarebbe
bastato da solo a dare una svolta definitiva alla sua ispirazione che,
al contrario, si sarebbe rivelata «assai più profonda, più articolata e
più complessa».
All’approfondimento del legame tra l’artista e il
nostro Paese (ma anche con l’intera area del Mediterraneo) sarà dedicata
la mostra-evento del 2017 delle Scuderie del Quirinale di Roma: Pablo
Picasso. Tra Cubismo e Neoclassicismo: 1915-1925 , in programma dal 21
settembre 2017 al 21 gennaio 2018. Un centinaio i capolavori scelti dal
curatore Olivier Berggruen: tra questi il Ritratto di Olga in poltrona
(1917), Léonide Massine come Arlecchino (1917), la natura morta con
Chitarra, bottiglia, frutta, piatto e bicchiere su tavolo (1919), le Due
donne che corrono sulla spiaggia (1922), il Flauto di Pan (1923), il
Saltimbanco seduto con braccia conserte (1923). Una serie di prestiti
eccellenti a cominciare dal Musée Picasso di Parigi al Moma di New York
passando per il Museum Berggruen di Berlino creato nel 1996 dal padre di
Olivier, Heinz, dopo sessant’anni di esilio negli Stati Uniti per
sfuggire alle leggi razziali, proprio per ristabilire il legame con la
Germania.
«L’idea della mostra — spiega Berggruen a “la Lettura” —
è prima di tutto quella di fare chiarezza sul rapporto tra Picasso e
l’Italia». Giusto a cent’anni dal primo viaggio in Italia dell’artista,
Berggruen precisa alcuni elementi fondamentali per capire il senso di
quel Grand Tour: «Picasso parte al seguito dei Ballets Russes per le
pressioni di Jean Cocteau, all’epoca un giovane poeta molto ambizioso.
L’idea era quella di dare una mano alla realizzazione del balletto
Parade . Diaghilev firmava la coreografia, Cocteau il testo, Satie la
musica, Picasso le scene e i costumi». Erano, oltretutto, gli anni della
guerra, quando Roma sembrava essere in qualche modo «il centro del
mondo».
Dunque tutto ruota attorno a Parade . Non a caso uno dei
pezzi forti della mostra di Roma è il grandioso (10 metri per 16)
sipario creato da Picasso per il balletto, di solito conservato al
Centre Pompidou e già esposto in Italia nel 1998, in occasione della
mostra Picasso 1917- 1924 a Venezia, a Palazzo Grassi: non sarà alle
Scuderie (viste le dimensioni) ma nel vicino Palazzo Barberini, sotto le
volte della grande sala affrescata da Pietro da Cortona con il Trionfo
della Divina Provvidenza (1632). «Sarà stupendo mettere a confronto la
nuova modernità di Picasso con la grande maniera del Seicento italiano»,
spiega il curatore. Che, a proposito del complesso rapporto
dell’artista con la classicità, aggiunge: «Il Raffaello delle Stanze
Vaticane lo aveva colpito, così come Michelangelo, così come l’ Ercole
Farnese, l’Antinoo, gli affreschi di Pompei e di Ercolano». E i
futuristi suoi coetanei? «Li aveva conosciuti proprio a Roma. La loro
carica rivoluzionaria lo aveva all’inizio intrigato ma poi i loro
eccessi lo avrebbero allontanato, ancora di più quando Picasso avrebbe
cominciato ad avere più successo e più soldi e in qualche modo si
sarebbe imborghesito. L’unico con cui sarebbe rimasto legato era Gino
Severini».
Ma visto che per Berggruen Picasso rappresenta il
prototipo dell’artista contemporaneo «con la sua continua voglia di
contaminazione e sperimentazione di nuovi linguaggi», il legame con
l’antico non poteva restare scontato: «Delle statue antiche lo avevano
colpito la monumentalità e la sensualità nascosta, più che le forme e le
proporzioni. Ma poi, anticipando certe moderne trasgressioni, Pablo
(all’epoca trentacinquenne) aveva iniziato a mettere insieme con grande
disinvoltura «alto» e «basso». In che modo? Andando a vedere musei e
chiese ma anche gli spettacoli delle marionette, il vaudeville (di cui
gli piaceva assai la sfilata che concludeva la recita) oppure
collezionando le cartoline d’epoca con giovani donne romane e napoletane
in costume tradizionale». Un souvenir d’Italie di basso profilo che
avrebbe, ad esempio, prodotto la bellissima Italiana (1917) della
Collezione Bührle di Zurigo.
«L’Italia rappresenta un riferimento
fondamentale per Picasso, così come per tutti gli artisti della sua
generazione»: questa l’opinione anche di Laurent Le Bon, presidente del
Musée Picasso di Parigi, tra i partner della mostra romana, inserita nel
progetto Picasso-Méditerranée , avviato nel 2015 dallo stesso Le Bon,
in occasione della riapertura del museo parigino. Un progetto che
coinvolge oltre sessanta istituzioni di Paesi affacciati sul
Mediterraneo e «che vuole mettere in luce i legami dell’artista con quel
mare e quel mondo» (fortissimi ad esempio quelli con le antiche statue
greche del periodo cicladico e con le tecniche della ceramica). Un
progetto importante anche politicamente, anticipa Le Bon a «la Lettura»:
«In un momento in cui l’Europa e il mondo intero sono in crisi, bisogna
allargare i nostri sguardi oltre i confini, cercare elementi comuni nel
nostro patrimonio artistico e culturale. A questo può servire una
mostra come quella di Roma ma anche una mostra su Picasso messa in piedi
in Libano o in Marocco».
Così a dare il via al progetto Picasso-
Méditerranée saranno appunto due esposizioni Made in Italy: Picasso /
Parade: la sirena Partenope a Napoli e il pittore cubista, Napoli 1971 ,
prevista per aprile 2017 alla Reggia di Capodimonte, a cui seguirà
appunto l’esposizione alle Scuderie (a questa faranno da corredo una
serie di eventi come concerti e la ri-messa in scena di Parade ). Le Bon
concorda con Berggruen («Non ho mai conosciuto Picasso di persona, ma
conservo la lettera di congratulazioni che aveva inviato a mio padre
quando sono nato») sul controverso legame di Picasso con l’Italia:
«Nella sua voglia di un’arte che fosse al tempo stesso più moderna ma
anche più primitiva, Picasso si interessava però ancora più a tutti quei
mondi “ai margini della classicità”, preferendo all’Antica Roma e al
Rinascimento gli Etruschi, gli affreschi erotici di Pompei, le maschere
della Commedia dell’arte, la vita frenetica della via Margutta del 1917 o
quella dei vicoli di Napoli». Poi, una volta tornato a Parigi, ormai
ricco e famoso, Picasso avrebbe assicurato con certezza «di preferire
Roma alla Grecia».