Corriere 9.12.16
Asli Erdogan
«Al freddo, senza cure Il regime ci odia e l’Europa non vede»
Dal carcere parla la scrittrice turca che rischia l’ergastolo: «Il presidente pretende il monopolio della verità»
Özgür
Gündem è il nome di un giornale filo-curdo (in lingua turca), significa
«Agenda libera»: la scrittrice da cinque anni era entrata a far parte
del board dei consulenti, assieme ad altri cinque intellettuali, tutti
arrestati
di Alessandra Coppola
Come in una
stazione ferroviaria, «aspetto un treno di cui non conosco l’orario, tra
la folla, al freddo. Mi mancano le medicine, ho paura...». È la voce
della scrittrice turca Asli Erdogan, che dal carcere femminile di
Bakirköy a Istanbul, attraverso la mediazione dell’avvocato Erdal Dogan ,
è riuscita a rispondere alle domande del Corriere. Con il presidente
Recep Tayyip Erdogan ha in comune il cognome, ma anche un destino
speculare: è da lui, dice, che dipende la sua condizione attuale.
Asli Erdogan, lei è in cella da agosto: con quale accusa? Qual è la sua linea difensiva?
«Sono
stata arrestata il 16 agosto perché consulente editoriale del
quotidiano Özgür Gündem (indicato dal governo come organo del Pkk,
partito curdo illegale, ndr), nonostante la legge sulla stampa dichiari
in modo netto che i consulenti non sono responsabili giuridicamente per
la linea e i contenuti del giornale. In Turchia per la prima volta un
quotidiano è stato dichiarato “organo di stampa di una organizzazione
terroristica”. È completamente illogico, fuori dal diritto, campato in
aria… Non c’è una sola prova contro di noi, per formulare l’accusa hanno
usato poche frasi estrapolate da quattro miei articoli, mai contestati
prima. Il procuratore per nove persone, me compresa, ha chiesto
l’ergastolo: la condanna che ha sostituito la pena di morte! In breve:
vengo giudicata perché sono il consulente a titolo simbolico di un
giornale legale ed è stata richiesto per me l’ergastolo. Per quanto ne
sappia, è la prima volta al mondo: baserò la mia difesa su questo
nonsense».
Non è l’unica vittima della repressione dopo il tentato golpe di luglio: che cosa sta succedendo in Turchia?
«Negli
ultimi quattro mesi sono state arrestate 40mila persone con l’accusa di
appartenenza a organizzazione terroristica. Circa 150 “giornalisti”
sono in carcere, tra questi scrittori, linguisti, professori di
economia. Sono stati chiusi 150-200 organi di stampa e case editrici. Ci
sono tra i detenuti anche decine di politici. Pochi giorni fa è stato
arrestato un giudice nel corso di un’udienza (nel processo per
l’omicidio del giornalista armeno Hrant Dink, ndr )».
Perché il presidente Erdogan teme i giornalisti?
«Il
regime sta diventando totalitario e vuole assicurarsi di essere il solo
e assoluto detentore della verità. Erdogan non riesce a digerire
neanche la minima critica, e rovescia tutto il suo rancore e spirito di
vendetta contro gli intellettuali. Soprattutto non ha alcun rispetto per
le “donne intellettuali”. Non capisco se ci odi o ci tema molto».
Che
cosa dovrebbe fare la comunità internazionale, Europa in particolare?
Ritiene che gli accordi con Ankara per bloccare il flusso dei rifugiati
frenino le pressioni?
«L’Europa deve smettere subito di chiudere
gli occhi nei confronti della Turchia per la crisi dei migranti, ha il
potere di fare pressioni, anche commerciali. La Turchia sta utilizzando
persone disperate come merce di ricatto».
Quali sono le sue condizioni di salute?
«Come
potrebbero essere? Una cella gelida, difficoltà di consultare un
dottore, di avere medicine, la mancanza d’aria… Come può stare in questa
situazione una persona che ha una protesi, che ha avuto quattro
interventi, con problemi circolatori e intestinali? Cerco di RESTARE
SANA (in maiuscolo nella trascrizione dell’avvocato, ndr )».
Come si svolgono le sue giornate in prigione?
«Ogni
giorno è la ripetizione di un altro uguale a se stesso: la conta, l’ora
del silenzio, il colloquio con l’avvocato, la conta serale… Come
aspettare un treno di cui non si conosce l’orario in una stazione
ferroviaria fredda, affollata, stretta».
Che pericolo corre?
«La
settimana scorsa, un deputato dell’Akp (il partito del presidente, ndr )
ha avvisato: “Ci possono essere delle aggressioni alle carceri, i
terroristi potrebbero essere linciati”. Dopo questa minaccia abbiamo
avuto davvero paura. È aumentato il numero dei cancelli di ferro, ma più
che per proteggerci, per rendere ancora più difficili le nostre uscite!
Per cinque notti abbiamo fatto i turni. Domenica è scattato l’allarme,
ma mi ci sono talmente abituata che ho continuato a tirarmi le
sopracciglia. Per non morire tra le fiamme ho calcolato come potrei
facilitare il mio soffocamento... Sono totalmente vulnerabile, come ogni
oppositore in Turchia».
Intellettuali di tutto il mondo si stanno
mobilitando per chiedere la sua liberazione: pensa che questi appelli
possano aiutarla?
«L’arresto mio e di molti altri scrittori e
giornalisti è del tutto “politico”, siamo stati messi dentro con un
ordine dall’alto, con accuse vuote, senza raziocinio. L’unica modo per
venirne fuori è la pressione politica dell’Europa. Naturalmente i leader
politici non considerano un problema prioritario la crisi della
democrazia in Turchia. L’accordo sui migranti ha messo a tacere
l’Europa! Ecco, la responsabilità che ricade sugli intellettuali, gli
scrittori, i giornalisti è grande: dobbiamo ricordare all’Europa i
valori che fanno di essa l’Europa, e pretenderli».