Corriere 7.12.16
Chi dà la colpa ai cittadini
Torna il vizio antico di chi perde Attaccare quegli elettori «inferiori»
di Pierluigi Battista
Destra
o sinistra, non importa. Torna l’argomento antropologico. Per decifrare
i fenomeni elettorali e ribadire l’inferiorità di chi vota in una
direzione che non piace.
È tornato. Dopo qualche anno di oblio è
tornato il formidabile argomento antropologico come chiave per decifrare
i fenomeni elettorali e soprattutto per ribadire l’inferiorità appunto
antropologica di chi vota in una direzione che non ti aggrada.
Luisa
Puppato, una neo-pasdaran del Sì un tempo molto di sinistra nel Pd ma
che per la sua conversione filo-renziana ha dovuto addirittura subire
l’anatema e poi l’espulsione dell’Anpi, nota che il Sì vince all’estero:
testimonianza che la «fuga dei cervelli», l’espressione è sua, c’è
stata veramente e dunque che i più intelligenti, e non i buzzurri, gli
incolti, i rozzi, hanno capito le ragioni della riforma costituzionale
clamorosamente bocciata nelle urne.
Poi c’è il pasticcio
geo-antropologico di Chicco Testa che su Twitter si è, per così dire,
espresso male: «Il Sì fa il risultato migliore a Milano, Bologna e
Firenze e il peggiore a Napoli, Bari, Cagliari. C’è altro da
aggiungere?». C’è da aggiungere che Chicco Testa è stato interpretato
molto malignamente e travolto da un’ondata di insulti dove «razzista»
era uno dei più benevoli. Lui poi si è spiegato, ha detto che non aveva
niente contro i meridionali ma voleva suggerire l’idea che il No avesse
vinto nei capoluoghi dove massimo è il voto di scambio. Precisazione
anche questa problematica, perché qualcuno ha fatto notare che due città
su tre, Bari e Cagliari, sono rette da giunte di centrosinistra con
sindaci che si sono apertamente schierati per il Sì. Ma insomma la
frittata era stata fatta. Solo che la frittata aveva messo in moto una
replica di tipo altrettanto socio-antropologico perché un interlocutore
ha chiesto: «A Capalbio chi ha vinto?».
Ecco il contro-argomento
antropologico: se il popolaccio vota i populisti, allora, per ritorsione
polemica, l’establishment, i privilegiati, gli snob, i radical-chic
votano per la minoranza che si considera la serie A. E dunque Capalbio,
ovvio, secondo lo stereotipo più vieto la capitale dello chicchismo
benpensante, benestante, aperto (tranne con le quote di profughi),
illuminato, progressista. E dunque anche sarcasmi «in Rete» (si dice
così) per il fatto che le uniche zone di Roma dove è prevalso il Sì,
molto di misura peraltro, siano il centro storico, quello delle terrazze
e degli ambienti cool e soprattutto i Parioli, antropologicamente un
tempo territorio della destra e dei «fasci» e da un po’ di anni a questa
parte tempio dei benestanti benpensanti che votano la sinistra
blasonata. Ed ecco l’immediata e velenosa risposta antropologica a chi
ha fatto notare che il Sì a Renzi ha la maggioranza nelle zone più
avvantaggiate di Milano (mentre l’hinterland ha premiato il No
«straccione»): «Consolatevi con un sano happy hour». Ecco non più
sezioni, ma apericena: la mutazione antropologica della sinistra bene è
tutta in questa dicotomia.
Per la verità l’argomento antropologico
ha vissuto il suo momento di gloria attorno al ’94, quando la sinistra
«chic» rimase traumatizzata dal massiccio voto popolare a favore della
Lega ma soprattutto a favore di Berlusconi, il venditore, il tycoon, la
maschera che incarnava l’antitesi antropologica del mondo delle buone
letture, come quello di Umberto Eco, che diceva di leggere Kant mentre i
suoi connazionali guardavano la tv. Ed è singolare e paradossale che il
protagonista della scomunica antropologica nei confronti
dell’elettorato credulone e populista che si era fatto abbindolare da
Berlusconi rispondesse al nome di Gustavo Zagrebelsky, uno dei pesi
massimi del No accusato a sua volta di essere espressione di una
inferiorità antropologica. Zagrebelsky scrisse infatti un denso libro,
Il «Crucifige» e la democrazia in cui si dimostrava che il popolo
lasciato a se stesso («il paradigma della massa manovrabile», si
espresse dottamente) non avrebbe fatto altro che scegliere Barabba e
condannare Gesù. Da qui l’allarme verso quelle che chiamava «le
concezioni trionfalistiche e acritiche del potere al popolo». Un’analisi
molto più raffinata del rude argomento antropologico adoperato allora
da Dario Fo verso l’elettorato leghista: «gente imbecille». E anche
dell’invettiva contro la «porca Italia» che Umberto Saba scagliò contro
il popolo che alle elezioni del ’48 si era permesso di optare per lo
Scudo crociato anziché per il Fronte popolare. Popolare, non
«populista», perché allora il termine aveva tutto un altro significato.
L’antropologia come arma per screditare chi vota all’opposto dei suoi
desideri. Già sentita. Meglio l’happy hour.